IL GRANDE FREDDO

Il Partito della sinistra svedese tra ambizioni di governo e movimenti sociali

di Alberto Deambrogio e Monica Quirico

Intervista di Monica Quirico e Alberto Deambrogio a Kjell Östberg

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Popolo in movimento. La storia della nostra democrazia

Kjell Östberg è stato tra i fondatori dell’Istituto di storia contemporanea della Södertörn University di Stoccolma, di cui è professore emerito; tra i più autorevoli storici svedesi, la sua ricerca verte sulle lotte e sul contributo alla democrazia del movimento operaio e, in generale, dei movimenti sociali. Tra le sue numerose pubblicazioni, un’apprezzatissima biografia in due volumi di Olof Palme, uscita tra il 2008 e il 2009, e il recente Folk i rörelse: vår demokratis historia (Popolo in movimento: la storia della nostra democrazia), 2021. Nei prossimi mesi uscirà per i tipi di Verso il suo The Rise and Fall of Swedish Social Democracy.

Gli abbiamo posto alcune domande sul recente congresso del Partito della sinistra, svoltosi dal 4 al 6 febbraio 2022, cui ha partecipato in qualità di delegato

Sei stato a lungo un dirigente del Partito socialista, di ispirazione trotzkista, battendoti per molti anni per la sua confluenza nel Partito della sinistra, realizzatasi infine nel 2019. Puoi spiegarci le ragioni di questa scelta e se esse hanno trovato una conferma nel recente congresso del V e nella politica che questo partito ha portato avanti in questi ultimi anni?  

Il nostro gruppo, la sezione svedese della Quarta Internazionale, fu un prodotto della radicalizzazione degli anni Settanta. Avevamo smesso da tempo di essere un apparato di partito nel senso tradizionale e ci consideravamo piuttosto come un “think tank”, anche se nello stesso tempo molti dei nostri compagni erano in prima linea nella battaglia di opposizione condotta dai sindacati o erano attivi nei movimenti sociali. Ci ha ispirato l’ascesa, dieci-quindici anni fa, di nuovi, più aperti partiti che si fondavano sui movimenti sociali. La nostra valutazione è stata che il Partito della sinistra aveva il potenziale per diventare una tale “sinistra-mosaico” nonostante esso fosse molto impegnato dall’attività parlamentare. Quando il leader del Partito della sinistra [all’epoca Jonas Sjöstedt] ci ha apertamente invitato a confluire nell’organizzazione abbiamo accettato. Il recente congresso ha mostrato, da un lato, un rafforzato orientamento della leadership del partito di assegnare grande importanza all’arena parlamentare, dall’altro, il profondo radicamento del partito stesso nei movimenti sociali. Questo ha provocato molte stimolanti collisioni.

                Il discorso di Nooshi Dadgostar è stato molto pragmatico: oltre a rivendicare i risultati raggiunti (il V ha impedito la liberalizzazione dei canoni d’affitto e ha negoziato con successo un aumento storico delle pensioni, per citare solo i più importanti), ha insistito sul fatto che “la politica è compromesso”. In questo anno di campagna elettorale, come pensi che il V si giostrerà tra un’alleanza di governo con i Socialdemocratici – che sembra essere l’obiettivo della leadership – e la linea “movimentista”? 

Il programma elettorale che costituiva l’argomento centrale di discussione del congresso portava chiaramente il segno del nuovo indirizzo tattico del gruppo dirigente, ossia allargare il bacino elettorale a un maggior numero di lavoratori al di fuori delle grandi città (nei cosiddetti comuni a vocazione industriale) e guadagnare credibilità come partito che porta avanti questioni concrete, importanti per la “gente comune”. Per apparire realisti, era necessario soffermarsi solo sulle rivendicazioni che si possono verosimilmente realizzare durante la prossima legislatura. Allo stesso modo, il programma doveva attenuare le richieste che secondo il gruppo dirigente avrebbero ridotto le chance di conquistare il sostegno di alcune categorie di lavoratori. L’esempio più lampante è quello del clima. La richiesta doveva essere quella di sostenere la riconversione delle attività produttive in accordo con gli obiettivi climatici; le formulazioni implicanti che anche i consumi vanno cambiati (ad esempio riducendo il consumo di carne o i viaggi aerei) andavano evitate. Né potevano essere presenti nel programma la richiesta di tutelare il diritto d’asilo o questioni legate al militarismo. Neppure parole come “socialismo” o “anticapitalismo” potevano comparire.

In aggiunta a ciò, il gruppo dirigente ha esplicitamente dichiarato che il suo obiettivo è entrare nel governo dopo le elezioni, anche se questo dovesse significare un accordo con il Partito di centro, che è, tra i partiti presenti in parlamento, il più neoliberale e anti-sindacale.

Degno di nota è che il congresso abbia deciso di approvare scelte che su alcuni temi vanno contro questo orientamento del gruppo dirigente. La più importante è forse quella che riguarda l’impegno per il clima: è passata l’idea che anche i consumi devono cambiare, benché con il supporto di un esteso intervento statale che abbia anche un impatto sulla redistribuzione del reddito, e che le foreste svedesi vanno difese dallo sfruttamento. Anche il diritto di asilo e il no alla Nato sono stati inseriti, così come la formula che il Partito della sinistra è un partito socialista.

Questo risultato riflette il fatto che il Partito della sinistra è anche profondamente radicato nella battaglia per il clima, in quella antirazzista ecc.

Sempre durante i vostri lavori congressuali Nooshi Dadgostar ha detto: “non promettiamo tutto a tutti ma quello che promettiamo lo realizzeremo”, cercando di trasmettere un’idea di realismo coerente. D’altro canto ha anche cercato di recuperare, attraverso la figura di Albin Hansson, una genealogia importante ai fini della cultura e della storia delle politiche sociali in Svezia. Questa operazione prepara solo il terreno a scelte pragmatiche, a riforme positive, o serve anche a delineare un nuovo orizzonte ideologico, capace di recuperare elementi profondi della storia e del vissuto di massa in Svezia?

Il gruppo dirigente del Partito della sinistra ha chiarito già da alcuni anni che è un partito riformista e si ricollega volentieri all’età d’oro della socialdemocrazia, rendendo perfino omaggio al “modello svedese” (dunque al corporativismo). Che la leader del partito [Nooshi Dadgostar] richiami Per Albin Hansson rispecchia questo orientamento – e il tentativo di fare breccia nell’elettorato socialdemocratico. È chiaro però che pensare di ripristinare i presupposti del modello svedese senza quel movimento operaio eccezionalmente forte che ha caratterizzato la Svezia negli “anni d’oro” non è realistico.

Lucio Magri, parlamentare comunista, nel 1992 disse che l’Europa di Maastricht nasceva sotto un segno marcatamente autoritario, della radicale riduzione di ciò che non era mercantile, dell’emarginazione delle aree periferiche. Dopo trenta anni i risultati dell’Unione Europea “reale” sono sotto gli occhi di tutti. Nel vostro congresso il nodo europeo non è stato sicuramente al centro della discussione. Questo tipo di atteggiamento quale valutazione presuppone? Come valuti lo spazio dello stato nazionale tra la possibilità di intervento pragmatico neo-welfaristico e la tentazione di considerare la verticalità dello Stato e della sua autorità come sola via per contrastare la globalizzazione neoliberale? Infine: quali vie dovrebbero essere sperimentate per la costruzione di una rete politica e di movimento, almeno europea, in grado di collegare le istanze sociali e ambientali della maggioranza delle persone?

L’atteggiamento della sinistra svedese nei confronti della cooperazione europea è stato a lungo negativo. Anche i socialdemocratici sono stati contro l’adesione all’UE fino agli anni Novanta, tra le altre ragioni perché temevano che la “cattolica” Europa avrebbe rappresentato una minaccia al Welfare State svedese. Quando hanno cambiato linea, hanno cercato di argomentare che la Svezia avrebbe potuto contribuire il suo modello di Welfare negli altri paesi… Come sapete, la politica neoliberale dell’Unione europea (e dei socialdemocratici) da Maastricht in poi ha escluso la possibilità di questa “esportazione”. Nel referendum del 1994 solo il 52% dell’elettorato si pronunciò per l’adesione, nonostante l’intera élite politica, inclusi i socialdemocratici, avessero investito molto nella campagna per il Sì. Il Partito della sinistra è stato una delle forze trainanti nell’opposizione all’Ue. Le sue argomentazioni non sono state scevre da elementi nazionalistici e la rivendicazione dell’”autodeterminazione nazionale” ha giocato un ruolo di primo piano. L’orientamento negativo verso l’Ue ha fatto sì che un confronto su “un’altra Europa” sia in gran parte mancato e, come voi notate, il tema Europa non riveste alcun ruolo né nel manifesto elettorale né in altri documenti. La discussione sulle questioni che voi sollevate è, per farla breve, molto indietro. Nel parlamento europeo gli eletti del Partito della sinistra sono stati attivi, contribuendo in modo significativo ai dibattiti sul clima e sull’uguaglianza di genere; sono stati altresì partecipi della costruzione di una rete europea della sinistra. Tuttavia il partito non ha attivamente preso parte alle mobilitazioni europee contro le ricadute delle politiche neoliberali. Nel programma del partito, la linea continua a essere che la Svezia dovrebbe lasciare l’Ue. Alcuni anni fa il gruppo dirigente ha annunciato, senza consultare gli iscritti, che la richiesta non era più all’ordine del giorno. Al nuovo indirizzo non ha fatto seguito una discussione su una qualche strategia alternativa, al di là di quella di essere un partito attivo nell’europarlamento.

Va osservato che, di fronte all’aumento dei prezzi dell’energia – ma anche nell’ottica di sostenere la riconversione ecologica dell’industria svedese, il Partito della sinistra ha recentemente avanzato la richiesta di “tagliare le linee elettriche” verso l’Europa, dunque fermare l’esportazione di energia (che al momento è a prezzi convenienti) verso l’Europa: una misura neoprotezionistica che forse non è così usuale presso la sinistra radicale…

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Traduzione in e dallo svedese a cura di Monica Quirico

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