PER LE RSA NON RIMANE CHE LA CARITA’

LA GIUNTA DELLA REGIONE PIEMONTE E LA CHIESA LANCIANO UNA COLLETTA PER LE RSA:
FANNO ELEMOSINA SPICCIA A DANNO DEL DIRITTO DI ESSERE CURATI DEI MALATI NON AUTOSUFFICIENTI

MANIFESTAZIONE A TORINO IN PIAZZA CASTELLO

Daniela Alfonzi intervista Andrea Ciattaglia: presidio_rsa_18marzo2022

Comunicato del CSA – Coordinamento Sanità e Assistenza fra i movimenti di base

L’iniziativa della raccolta di beneficienza per tenere aperte le strutture Rsa è gravissima e squallida per molti motivi. Persino per Confindustria è troppo: l’associazione di categoria si è limitata a «prendere atto», chiedendo però alla Regione interventi «seri».
Le quote sanitarie per i malati non autosufficienti (Alzheimer, Parkinson, con demenza, con esiti da ictus o da traumi, con gravissime disabilità…) sono diritti esigibili, che devono essere garantiti per legge: la 833/1978 di istituzione del Servizio sanitario nazionale pubblico e le norme sui Livelli essenziali delle attività sanitarie e socio-sanitarie.
L’iniziativa della Regione e della Chiesa va immediatamente bloccata.
Arriva dopo che la Regione ha:
• tagliato di milioni di euro i fondi destinati alle quote sanitarie dei
malati non autosufficienti;
• sprecato 30 milioni di euro di quelle quote destinate a madri, padri,
sorelle e fratelli, nonne e nonni malati di cittadini piemontesi in
ristori diretti ai gestori che potevano essere attinti dalle risorse
nazionali;
• perso sulla pelle dei malati non autosufficienti ricoverati due anni e
mezzo (dall’inizio della pandemia) senza cambiare l’organizzazione
delle Rsa, che sono ancora più deboli che a inizio 2020;
• Eretto un muro di gomma di fronte alle migliaia di richieste di visita,
di relazione umana, di affetto e vicinanza ai malati ricoverati.
Ecco i principali motivi di massima contrarietà all’iniziativa:
Dopo gli oltre 8mila morti in Rsa del 2020 (dati della Regione Piemonte, comunicati solo nel 2022) la Regione ha inserito sempre meno utenti nelle strutture, con le dovute convenzioni.

NON SERVE L’ELEMOSINA,
SERVONO GLI INSERIMENTI IN CONVENZIONE CON LE ASL.
A fronte di questo calo, i gestori non hanno preso posizioni decise e a tutela degli utenti. Quali?
Informare tutti gli utenti senza convenzione (che pagano 3.000 euro al mese alle strutture, privatamente) e in generale i cittadini che ne fanno richiesta su come ottenere la retta in convenzione e pressare la Regione al limite minacciando l’interruzione del servizio e con manifestazioni pubbliche. Che non ci sono state!
Le Rsa sono di fatto chiuse da due anni, senza che la Regione abbia preso seri provvedimenti a tutela delle esigenze relazionali di parenti e degenti. Sulla questione sono dovuti intervenire (dite se è normale che queste organizzazioni debbano occuparsi dei più deboli tra i nostri
malati?): Amnesty International, il Garante delle persone private della libertà personale, il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (!)
I PROMOTORI PROPONGONO UNA DONAZIONE
PER LAVARSI LA COSCIENZA?
Le Rsa – un settore che produce ogni anno guadagni milionari per i grandi gruppi italiani ed europei – hanno tariffe di circa 3mila euro al mese che oggi sono assolutamente sovradimensionate rispetto alla copertura di personale e al servizio erogato, ridotto ai minimi termini – spesso anche sotto – da oltre due anni.
Viene detto che si vogliono aiutare le piccole strutture… che sovente però non sono in regola con la legge, perché sono autorizzate per ospitare persone autosufficienti e invece ricoverano pazienti malati non autosufficienti, non fornendo loro le prestazioni di cui hanno bisogno
(ma pretendendo la retta come se lo facessero).
Quando si dà per favore ciò che spetta per diritto perdono tutti:
la democrazia, i diritti, la qualità della vita e delle cure. Vincono solo il clientelismo e l’ipocrisia.

I MALATI NON AUTOSUFFICIENTI DEL PIEMONTE CHIEDONO IL RISPETTO DEI
LORO DIRITTI, NON L’ELEMOSINA AI GESTORI DELLE STRUTTURE.

CSA – Coordinamento Sanità e Assistenza fra i movimenti di base

10124 TORINO – Via Artisti, 36 Tel. 011-812.44.69 – Fax 011-812.25.95

e-mail: info@fondazionepromozionesociale.it – www.fondazionepromozionesociale.it

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Emergenza senza fine

di Andrea Capocci dal Manifesto del 22 marzo

Covid-19. Da due anni gli ospiti delle Rsa non possono incontrare parenti e affetti se non in condizioni limitatissime. Un comitato chiede che anche per loro dopo il 31 marzo tornino i diritti

Con la fine dello stato di emergenza non tutti si avviano a recuperare la normalità perduta a causa della pandemia. Per chi è ospite delle residenze sanitarie assistenziali (le Rsa) e di quelle per adulti disabili (le Rsd) anche dopo il 31 marzo cambierà ben poco. Ricevere visite e mantenere un minimo di relazioni sociali rimarrà assai complicato. Le visite nelle Rsa continueranno ad essere contingentate e richiederanno il green pass «rafforzato» ottenuto per vaccinazione o per guarigione nei sei mesi precedenti.

L’obbligo rimarrà valido anche dopo il 30 aprile, data in cui la necessità di green pass rafforzato decadrà per molte altre attività per cui oggi è indispensabile. Per le visite in ospedale, Rsa e Rsd, infatti, il green pass rafforzato rimarrà in vigore fino a dicembre 2022. Oltre al pass, nelle residenze rimarranno in vigore tutte le limitazioni che finora hanno ridotto la possibilità di interazione tra gli ospiti e i parenti, come la durata delle visite dei familiari. «In molte strutture le visite durano una ventina di minuti» racconta Claudia Sorrentino, la cui madre è residente in una Rsa del centro Italia «nonostante secondo le ordinanze del ministero della salute dovrebbero essere garantiti almeno quarantacinque minuti di visita».

CON ALTRI PARENTI di ospiti di Rsa e Rsd, Sorrentino ha dato vita al Coordinamento Nazionale di Comitati e/o Associazioni di Tutela dei Diritti delle persone non autosufficienti, delle Famiglie, delle vittime nelle Rsa e dei lavoratori socio sanitari, una rete nata dalle decine di comitati locali, associazioni e sindacati che da due anni cerca con fatica di garantire agli ospiti e ai loro familiari i diritti essenziali. «Spesso gli incontri si svolgono in ambienti simili a quelli dei colloqui carcerari, con vetri divisori che impediscono il contatto e tavoli per aumentare la distanza. Chiunque può immaginare cosa voglia dire incontrare in queste condizioni una persona con una disabilità grave o Alzheimer. Per molte persone, il contatto fisico con il prossimo è l’unico modo di interagire con l’ambiente esterno. Senza, il colloquio diventa una tortura».

«L’OBBLIGO DI GREEN PASS rafforzato ha ulteriormente complicato le cose» spiega Silvio. È un nome di fantasia: molti parenti faticano a esprimersi pubblicamente perché temono le ripercussioni sui propri cari ricoverati in caso di contrasti con le strutture. «Non abbiamo nessuna contrarietà ai vaccini. Ma ci sono anziani che non hanno potuto vaccinarsi per la loro condizione di salute. Mia madre ottantacinquenne, ad esempio, a causa di ictus e trombosi non ha potuto ricevere la dose. Finché si poteva visitare le Rsa con il tampone negativo ha potuto vedere mio padre. Ma con il green pass rafforzato questo è impossibile e ormai da molti mesi non si incontrano di persona».

Sembra lontanissima la rappresentazione trasognata della «stanza degli abbracci» dipinta da Giuseppe Tornatore negli spot del 2021. In realtà, nei due anni della pandemia, le residenze sanitarie non hanno saputo adattarsi alle condizioni del virus in modo da garantire allo stesso tempo la sicurezza degli ospiti insieme alla loro socialità.

NELLA PRIMA ONDATA, nelle Rsa si è verificata un’ecatombe. Colpa del virus, certo, ma anche di una gestione dissennata della crisi da parte delle autorità sanitarie documentata da inchieste giudiziarie. A molti operatori fu impedito di indossare mascherine e nelle Rsa furono spostati anziani ricoverati in altri ospedali senza verificarne la negatività al virus. Che si diffuse proprio dove era ospitata la popolazione più vulnerabile.

Garantire la sicurezza degli ospiti blindando le strutture però non è una soluzione. «Per chi si trova in una Rsa o in una Rsd, la relazione sociale non è un lusso a cui si possa rinunciare» riprende Sorrentino. «È la componente principale dell’assistenza, che rappresenta la funzione primaria di queste residenze: se non sono in grado di garantirla, viene meno la loro stessa funzione. Noi parenti siamo parte fondamentale della loro cura e salute e invece veniamo trattati come problemi da non far avvicinare. Inoltre, da due anni non possiamo vedere le camere dove dormono e vivono. Questo è molto pericoloso: gli unici a poter controllare lo stato dei reparti eravamo noi. Ora nessuno sa più se dentro viene rispettata la loro dignità».

LA FUNZIONE RIABILITATIVA dei legami affettivi è attestata anche dagli studi (pochissimi) che hanno documentato l’impatto della pandemia sulle Rsa.

Uno studio dell’Istituto Auxologico di Milano ha mostrato un aumento della mortalità quadruplicata anche tra gli ospiti negativi delle Rsa, nei mesi della massima crisi: tra le cause, oltre all’elevato numero di casi sfuggiti ai tamponi, lo studio cita il declino psico-fisico dovuto alla privazione delle interazioni con familiari e volontari. Avere un quadro più ampio dell’impatto della pandemia nelle Rsa però è difficile: quando l’Istituto Superiore di Sanità ha provato a stimare il fenomeno, solo il 41% delle strutture ha fornito i dati.

Il governo ha provato a intervenire per garantire una cauta riapertura delle strutture alle visite con un’ordinanza del maggio del 2021, in cui si affermano i bisogni «psicologici, affettivi, educativi e formativi» di chi vive nelle residenze, affinché «il protrarsi del confinamento (…) non debba mai configurare una privazione de facto della libertà delle persone». È l’ordinanza in cui si raccomandano visite di 45 minuti. L’organizzazione delle residenze però è responsabilità regionale. Peraltro, la stessa ordinanza lascia al direttore della struttura la facoltà di adottare regole più restrittive.

Così, dopo la prima ondata poco o nulla è cambiato. Anche un sollecito del ministero «al fine di garantire in sicurezza il diritto di visita all’interno delle citate strutture» inviato alle Regioni alla fine di luglio ha ottenuto scarsi risultati.

Lo conferma anche il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Mauro Palma. «Quando pongo il problema agli assessori alla salute delle regioni, la risposta che ottengo è sempre la stessa: al di là delle ordinanze, il loro potere impositivo sui direttori sanitari delle strutture è scarso. E i direttori preferiscono tutelarsi con norme di massima cautela, che rendono più facile gestire le residenze. Però – aggiunge – si potrebbe agire sul lato dell’accreditamento».

Oltre l’80% delle residente assistenziali, infatti, è privato e deve accreditarsi presso il Servizio sanitario nazionale per svolgere la loro funzione e incassarne i relativi profitti. «Le Regioni – spiega Palma – potrebbero adottare criteri di accreditamento meno ragionieristici, che vertano anche sulle disponibilità delle strutture al controllo di organismi indipendenti o sulla loro capacità di garantire l’apertura all’esterno in condizioni di sicurezza».

NORME NAZIONALI più vincolanti e criteri di accreditamento più severi figurano anche tra le richieste che il Coordinamento porterà nelle piazze con una giornata di mobilitazione nazionale il 30 marzo, vigilia della «liberazione» (per gli altri). Negli stessi giorni, sarà in Italia il Comitato europeo per la prevenzione della tortura. Il Comitato ha messo il nostro Paese – insieme ad altri sette – tra quelli da monitorare nel 2022. E stavolta, oltre alle carceri, anche le Rsa saranno oggetto di un attento esame.

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