L’ANGOLO DI MURAT

In Turchia invece del cioccolato si spalmano i diritti dei contadini che coltivano le nocciole

Le nocciole turche (e chi le raccoglie) ostaggio del mercato

TERRA E DIRITTI NEGATI. 

La Turchia primo produttore globale. Ieri il presidente Erdogan ha annunciato il prezzo base per il 2022. Produttori e sindacati denunciano i guasti del monopolio Ferrero

La raccolta delle preziose nocciole nella provincia di Duzce, Turchia

Pubblicato sul Manifesto del 31 luglio 2022

Murat Cinar

La Turchia è il numero uno a livello mondiale nella produzione della nocciola. Seguita in seconda posizione dall’Italia. Ma nel 2021, mentre in Italia la produzione calava del 70%, in Turchia si registrava un aumento radicale. Una crescita che tuttavia non si è tradotta in un equo e proporzionale guadagno per i produttori. Nel 2015 la Turchia ha prodotto 240.134 tonnellate di nocciola e dalla vendita ha incassato circa 3 miliardi di dollari; nel 2021 la produzione è salita a 344.370 tonnellate, eppure l’incasso è sceso a 2.2 miliardi. Secondo le analisi di mercato, le inchieste giornalistiche e i report dei sindacati la situazione è il risultato del monopolio che l’azienda italiana Ferrero ha costruito negli anni in Turchia, in collaborazione con il governo centrale.

ALI EKBER YILDIRIM, che scrive sul portale di notizie Dunya, sostiene che questa situazione è dovuta al fatto che a stabilire il prezzo della nocciola è la stessa Ferrero, che controlla circa il 70% del mercato nazionale. Ovviamente il fatto che dal 2003, gradualmente, lo Stato abbia deciso di non comprare più dai contadini le nocciole a prezzo garantito – è la prima volta che accade dalla fondazione della Repubblica – limitandosi a stabilire un prezzo minimo, ha permesso all’acquirente principale di arrivare a controllare il mercato più velocemente e a dettare le sue regole.

«L’approccio che utilizza Ferrero nell’interfacciarsi con i produttori è quello di creare dei contratti stagionali, ovvero Ferrero scrive sul contratto il prezzo e le condizioni d’acquisto, ma qualora qualcosa non andasse come previsto, sarebbe facilmente il produttore a uscirne penalizzato». A parlare della situazione è Seyit Aslan, segretario generale del più grande sindacato del comparto alimentare, Gida-Is. «In questo settore – prosegue – i fattori naturali generano la quantità e la qualità del prodotto. Per esempio se parliamo del nord della Turchia, si tratta di una zona soggetta a vari fenomeni climatici estremi, quindi alla fine del raccolto il produttore si trova spesso a dover gestire notevoli perdite economiche».

«NEL 2021 – PROSEGUE ASLAN – la nostra delegazione sindacale insieme ad alcuni membri del ministero del Lavoro ha fatto un grosso lavoro di monitoraggio sul campo. Le condizioni di lavoro sono estremamente precarie, i lavoratori prima di tutto sono stagionali e senza contratto, le loro condizioni abitative consistono semplicemente in tende, senza una lavanderia e nemmeno un servizio igienico. Ci sono parecchi lavoratori minorenni che nel periodo di impiego non seguono il ciclo scolastico. Ovviamente nelle zone di produzione non esiste nessun tipo di controllo».

Il leader sindacale sottolinea il fatto che lungo la costa del Mar Nero per raccogliere le nocciole arrivano tanti lavoratori dal sud-est del paese. Sono spesso cittadini poveri e curdi che subiscono in questo periodo di lavoro numerosi atti di discriminazione. Secondo Aslan ciò che si vede nei media turchi è una piccolissima parte di quello che devono affrontare questi lavoratori, che per via di un’opportunità lavorativa di breve durata non si sentono di denunciare gli abusi. Nella raccolta delle nocciole in Turchia è dominante il sistema del caporalato, denuncia Aslan. Inoltre le persone qui sono obbligate a produrre o le nocciole o il tè, perché nella regione ormai impera il sistema della monocoltura.

«IL SISTEMA CONTRATTUALE che ha deciso di adottare Ferrero, senza nessun tipo di intervento dello Stato, in questi ultimi due anni possiamo dire che è diventato un elemento estremamente penalizzante – aggiunge Aslan – considerando la profonda crisi economica. Per esempio i fertilizzanti, il costo del lavoratore e le tasse sono molto più alte rispetto agli anni precedenti. Dunque è evidente che la Ferrero abbia costruito un monopolio nel settore in Turchia adottando dei meccanismi dannosi».

Da quando è entrata nel mercato turco, l’azienda italiana ha comprato diversi piccoli attori del settore, alcuni dal passato discutibile, e anche questo l’ha aiutata a diventare il numero uno del settore. Nel 2018 il partito politico Mhp e successivamente nel 2021 il Chp hanno chiesto al Comitato antitrust di aprire un’indagine perché avevano registrato «comportamenti e scelte mafiose» da parte della Ferrero.

IERI IL PRESIDENTE ERDOGAN nella città di Ordu ha comunicato il prezzo d’acquisto della nocciola, visto il periodo della raccolta: 54 lire turche al chilo (2,95 euro). Secondo Aslan e secondo i produttori con la crisi economica profonda e con queste condizioni di lavoro estremamente precarie la cifra dovrebbe essere al di sopra della soglia delle 80 lire (4,35 euro).

Questa è la condizione in cui si trova il produttore numero uno delle nocciole, grazie a un governo che crea le basi dello sfruttamento. Pian piano la produzione agricola viene distrutta e la dignità umana calpestata.

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L’OPPOSIZIONE TURCA E LA STORIA DI NURSEL AYDOGAN

L’OPPOSIZIONE TURCA E LA STORIA DI NURSEL AYDOGAN

oggi rifugiata in Germania, ha dedicato la carriera politica ai diritti delle persone curde

Nursel Aydogan

Il Partito Democratico dei Popoli, HDP, è tuttora la seconda formazione politica d’opposizione nel parlamento nazionale in Turchia. Una nuova esperienza che in poco tempo ha registrato un grande successo elettorale, che tuttavia oggi si trova in enorme difficoltà. Migliaia di persone iscritte all’HDP sono in carcere, centinaia di sindaci eletti sono stati sospesi, arrestati oppure obbligati a lasciare il Paese esattamente come vari parlamentari nazionali. Nursel Aydogan è una di queste persone.

L’HDP nasce nel 2012 con l’intento di essere un partito ombrello collocato a sinistra. Anche se a prima vista sembrerebbe una nuova formazione politica, l’HDP comprende diverse esperienze partitiche oppure extraparlamentari già presenti da anni in Turchia. Una nuova opportunità di rappresentanza per diverse lingue, etnie e posizioni politiche che cercano di trovare spazio e visibilità nel Paese. Altan Tan è stato l’esempio della presenza dei conservatori musulmani presenti nel partito che non si identificano con i partiti conservatori della coalizione del governo; Ertugrul Kurkçu che viene da un percorso di lotta extraparlamentare della sinistra turca, con 14 anni di carcere alle spalle, a causa del colpo di stato del 1971; Selahattin Demirtas, avvocato curdo e uno dei fondatori dell’Amnesty International della città di Amed/Diyarbakir; Mithat Sancar accademico arabo di cittadinanza turca; oppure Tuma Celik, scrittore e giornalista siriaco.

Questo partito politico, con le elezioni del 2015, porta nel Parlamento nazionale 85 parlamentari, invece con quelle del 2018 trovano seggio 67 deputati. Anche le elezioni locali sono una prova di successo: nell’ultima tornata del 2019, in 3 grandi città, in 57 piccole municipalità e con un totale di 1230 consiglieri comunali, l’HDP porta a casa un risultato importante.

Nello statuto, ma anche nelle azioni dell’HDP, si nota chiaramente che si trattai di un partito che lotta per “gli ultimi”: le persone lgbt, le minoranze etniche e linguistiche non riconosciute, le donne, le lavoratrici del sesso, i lavoratori precari, le minoranze religiose, le persone diversamente abili e quelle persone che si trovano in carcere con complicate condizioni di salute. In poche parole si tratta di un partito politico che abbraccia e sostiene la lotta e la resistenza di coloro che si sentono invisibili e schiacciati sotto la repressione del regime al potere in Turchia.

Forse è anche a causa di questa nuova pagina senza precedenti che l’HDP è riuscito a farsi strada in Turchia, e il governo centrale e i suoi mezzi di propaganda, le forze dell’ordine e la magistratura hanno collaborato insieme per aumentare sempre di più l’asticella della repressione nei suoi confronti. L’HDP oggi ha più di 10 mila iscritti in carcere, più di 100 sindaci e consiglieri comunali sono stati arrestati, in 50 municipalità al posto dei sindaci eletti sono stati nominati dei commissari straordinari, spesso e volentieri membri del partito al governo, infine 7 parlamentari sono in carcere e circa 5 altri hanno dovuto lasciare il Paese. Esattamente come Nursel Aydogan:

“Nel mese di novembre del 2016, la polizia ha fatto irruzione a casa mia. Vivevo nella città di Amed/Diyarbakir e mi hanno portato in elicottero in un centro di detenzione di un’altra città. Dopo qualche giorno, sempre con un elicottero militare, mi hanno portato nel Carcere Speciale di Silivri, dove sono rimasta 6 mesi”.

Aydogan è diventata parlamentare nazionale per la prima volta nel 2011 come candidata indipendente, poi nelle elezioni regolari del 7 giugno 2015 con l’HDP e con le elezioni anticipate del mese di novembre del 2015, sempre con l’HDP. Pochi mesi dopo il fallito golpe del 15 luglio 2016, durante lo stato d’emergenza è stata arrestata. Nel suo capo di imputazione ci sono le seguenti accuse: “trasgressione delle leggi che regolamentano le manifestazioni, elogio del reato e del colpevole, incitamento della popolazione all’odio e alla trasgressione delle leggi e, pur non essendo un membro di organizzazioni terroristiche, reato di propaganda per conto di queste”. Nel mese di maggio del 2017 il Parlamento nazionale ha deciso di rimuovere la sua immunità parlamentare, facendola condannare a 4 anni di carcere.

“Dopo 6 mesi di reclusione sono stata scarcerata. Immediatamente mi sono recata a Izmir con l’intento di rifugiarmi in Grecia. Una volta arrivata a Izmir, ho visto in televisione che era stato emesso un nuovo mandato di cattura per me, ma ormai era troppo tardi. Pochi giorni dopo sono arrivata in Germania dove vivo tuttora da rifugiata politica”.

Aydogan, turca, ingegnere alimentare, nasce nella città di Bursa nel1958. Aydogan ha deciso di dedicare la sua carriera politica alla lotta per la rivendicazione dei diritti delle persone curde e si è candidata per rappresentare la città di Amed/Diyarbakir, a due passi dal confine siriano. Aydogan ha presentato numerose interrogazioni parlamentari al governo per ottenere maggiori chiarimenti sulle condizioni di salute dei detenuti politici e sulla violazione dei diritti umani durante lo svolgimento delle manifestazioni di protesta:

“Insieme ad altri parlamentari abbiamo lavorato per un lungo periodo con l’obiettivo di ricostruire quella cultura della democrazia che manca in Turchia. Il nostro principale scopo è stato sempre quello di prenderci cura dei diritti di tutte le persone presenti in questo Paese e costruire le basi di una convivenza pacifica”. Aydogan è stata molto attiva e presente anche in piazza, nelle conferenze e nei convegni all’estero per parlare anche dei diritti e delle condizioni precarie delle donne che vivono in Turchia.

Aydogan oggi vive in Germania ma non trascura la sua lotta: “Qui mi sono trovata subito in una famiglia. Ho conosciuto diversi rifugiati politici provenienti dalla Turchia già presenti in Germania da anni. Inoltre ho consolidato un rapporto di amicizia con il mondo politico nella città in cui mi trovo. Ho sostenuto due candidati di sinistra per le elezioni amministrative costruendo una grande campagna con diverse persone che vivono in esilio come me. Abbiamo ottenuto un risultato importante: entrambi sono diventati consiglieri comunali. Penso che la mia lotta si sia trasformata, e che continui a crescere”.

Aydogan continua a parlare della Turchia, della vita e dei problemi delle persone che vivono in questo Paese, e a difendere i diritti degli “ultimi” in diverse occasioni e in varie parti dell’Europa. Lo scorso marzo era a Torino per partecipare ad alcune conferenze e festeggiare Nowruz, l’antica festa mediorientale che oltre ad annunciare l’arrivo della primavera per alcuni popoli, è anche quella ricorrenza che ricorda i momenti di ribellione contro i tiranni che li hanno oppressi e massacrati.

Murat Cinar

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Mediazione sì, sanzioni no.

di Murat Cinar – Il Manifesto

Erdogan in crisi cerca il colpaccio con l’Ucraina

Il ruolo “obbligato” della Turchia nel conflitto. L’attivismo di Ankara dettato dalla necessità di ricucire con la Nato, l’economia a picco come i sondaggi del presidente, i forti legami e le dipendenze economiche sia con Kiev e con Mosca

Mediazione sì, sanzioni no. Erdogan in crisi cerca il colpaccio con l’Ucraina
Erdogan al recente summit della Nato a Bruxelles – ApMurat Cinar

Il ruolo della Turchia come mediatrice nel conflitto ucraino diventa sempre più importante. Per il mondo, visti i rapporti economici, politici e militari che Ankara ha consolidato in questi ultimi anni con entrambi i paesi. Ma anche per il governo turco si tratta di una sfida essenziale, a fronte della devastante crisi economica e politica in corso. Eventuali successi in politica estera, oltre a ripristinare i rapporti fragili e problematici con gli alleati Nato, potrebbero tradursi in un miglioramento nei sondaggi: le elezioni politiche e presidenziali sono alle porte e le opposizioni, sempre più compatte, crescono nei sondaggi.

Sin dai primi giorni della guerra, il presidente Recep Tayyip Erdogan, il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu così come quello della Difesa Hulusi Akar sono stati molto chiari nelle loro dichiarazioni: «Non pretendete da noi sanzioni economiche nei confronti della Russia». Da qui la scelta per c erti versi obbligata di provare a mediare tra le parti in conflitto, per ricucire con la Nato e perché la Turchia, che vanta rapporti commerciali molto forti sia con Kiev sia con Mosca, subirebbe dalle sanzioni ulteriori danni alla sua economia, già disastrata.

Le divergenze tra Ankara e Nato risalgono all’era dell’amministrazione Obama e hanno a che fare con le diverse scelte politiche e militari nella guerra per procura in Siria. Un altro incidente è stato lo scandalo di truffe ed evasione fiscale legato alle sanzioni emesse da Washington nei confronti dell’Iran: alcuni imprenditori turchi-iraniani poi finiti in galera negli Usa durante le udienze hanno dimostrato il coinvolgimento diretto del governo turco e della famiglia Erdogan.

UN ALTRO PROBLEMA sorto tra gli alleati è senz’altro la presenza di Fethullah Gulen in Pennsylvania: l’ex “compagno” di Erdogan è accusato di essere l’organizzatore del fallito golpe del 2016, ma nonostante numerose richieste non è stato finora consegnato alla Turchia.
La lista dei conflitti nati in questi ultimi anni tra Washington e Ankara è lunga e senz’altro la guerra tra Ucraina e Russia è una “buona occasione” per risanare i rapporti.

E risanare ovviamente l’economia: secondo il Tuik, l’Istat turco, l’inflazione è al 55%. Per gli osservatori indipendenti oltre il 132%. Il neo ministro del Tesoro ha dichiarato a metà marzo che la Lira turca è ai minimi storici come valore di fronte alle monete straniere dominanti come il dollaro e l’euro. La disoccupazione, sempre secondo il Tuik, supera l’11%, mentre Disk, il più grande sindacato confederale del paese supera il 27%.

LE SANZIONI ALLA RUSSIA sono impensabili anche perché più del 40% del fabbisogno del gas e il 37% del grano dipendono da Mosca e la prima centrale nucleare del paese sarà costruita dai russi. Il legame economico tra i due paesi è pari a 10 miliardi di dollari l’anno. Inoltre sono stati avviati più di 2000 progetti edili turchi in Russia, per un valore di 80 miliardi di dollari. In totale il 16% del volume commerciale globale della Turchia si registra con la Russia. E a tutto questo dobbiamo aggiungere i forti rapporti tra i servizi segreti russi e turchi, oltre al sistema missilistico S400, che Ankara ha comprato dalla Russia per oltre 2 miliardi dollari. Operazione costosa anche in ermini di spaccatura con la Nato.

IL RUOLO DI MEDIAZIONE della Turchia risulta quasi inevitabile anche considerando i rapporti economici, politici e militari che Ankara ha sviluppato negli ultimi 8 anni con Kiev. I droni armati prodotti dalla famiglia del genero di Erdogan e venduti a Kiev, la minoranza musulmana a turcofona in Crimea, la pericolosa presenza della Russia nel Mar Nero e quei circa 4,5 miliardi d’investimenti turchi in Ucraina sono solo alcuni elementi che spingono Ankara ad esporsi.

Il progetto a lungo respiro di Erdogan potrebbe inoltre considerare sia gli oligarchi russi che inizieranno a svolgere le loro attività in Turchia sia quegli oppositori russi che troveranno un rifugio nelle grandi città turche.

I PRIMI SEGNALI sul primo aspetto si sono registrati quando Abramovich ha deciso di attraccare le sue due enormi barche a Bodrum, in Turchia. Pochi giorni dopo il ministro degli Esteri Cavusoglu, al Doha Forum in Qatar ha invitato apertamente gli oligarchi russi a svolgere le loro attività commerciali in Turchia, «finché restano all’interno della giurisdizione internazionale». Secondo il professore universitario turco, Aydin Sezer numerose aziende russe stanno già avviando operazioni di acquisto di beni di lusso, immobili costosi e vari investimenti finanziari a Istanbul.

DIMA VARLAMOV invece è una giornalista russa che lavorava per il canale televisivo russo indipendente, Dozhd, e ha deciso di rifugiarsi a Istanbul dopo che il governo russo ha chiuso le attività del suo canale. Non è l’unica, stando alle interviste fatte a Istanbul e Ankara da DW e El Pais ai cittadini russi che sono dovuti fuggire per essersi opposti alle politiche di guerra di Mosca.

Quindi sia per opportunismo sia per obbligo Erdogan deve comportarsi da “mediatore” in questa guerra. E noi? Dimenticheremo che gli abbiamo dato del «dittatore» pochi mesi fa, ci scorderemo di tutti quegli oppositori in carcere e gli stringeremo le mani ancora una volta?ERRATA CORRIGE

La guerra in Ucraina cambierà le scelte di Ankara?

di Murat Cinar

Che ruolo ha in questo conflitto armato Ankara? Si torna a casa NATO oppure si resta con un piede a Kiev e con l’altro a Mosca?

Mar Nero settentrionale con la tatara Crimea; Mar Nero meridionale con gli Stretti strategici per la navigazione. Gli accordi di Astana, che già adombravano un ridimensionamento della Russia al rango delle altre due potenze regionali che li animano, facevano pensare che la Turchia fosse destinata a trarne maggiori vantaggi, mentre Mosca appariva alla ricerca di accordi per spartire senza problemi le aree lasciate “libere” dal disimpegno dell’America trumpiana, dimostrando forse un inizio di affanno a svolgere il ruolo di grande potenza. Forse si può inquadrare la “spezial operazy” come una delle tappe delle spartizioni di Astana, che hanno visto diversamente impegnati gli eserciti e le milizie di Ankara e Mosca e quindi l’equidistanza  tra i contendenti da parte di Erdoğan fa il paio con l’interposizione di Putin in finale di conflitto in Nagorno Karabakh concluso a favore dell’Azerbaijan dai droni Bayraktar, protagonisti anche nel confronto bellico in Ucraina. L’equilibrio di Ankara, apparentemente sbilanciato a favore di Kiev (in chiave atlantista), ma attento a lasciare ampi spiragli di apertura a Mosca per proporsi come mediatore – forse per esperienza diretta nell’occupazione imperiale di territori limitrofi al proprio come il Rojava –, può ottenere riconoscimento internazionale, premiando l’ambiguità e la politica dei due forni di Erdoğan? Ed è vera competizione tra Israele e Turchia per ottenere il ruolo di paciere («proprio loro!?!», diranno curdi e palestinesi), o non è il gioco delle parti, per cui ognuno appare come campione valido per ciascuno dei due contendenti, perché tutti legati a filo doppio dallo scambio delle armi?

Vera rivalità tra Israele e Turchia per il ruolo di mediatore?
L’ossessione di OGzero per Astana arriva fin qui, lasciando spazio alle intuizioni di Murat Cinar…


Due paesi importanti per la Turchia sono in piena guerra; Ucraina e Russia. Dai droni ai pomodori, dalla centrale nucleare agli S-400, dal turismo al grano… e dal gas al riciclaggio di denaro. Per il governo centrale della Turchia, Mosca e Kiev sono due partner strategici con i quali ha consolidato dei rapporti economici, politici e militari in questi ultimi anni.
Ora invece questi due vicini stanno attraversando un forte conflitto armato tra loro. Dunque qual è stata, finora, la posizione di Ankara?

Le prime scelte

La politica della Turchia, dal 24 febbraio, quando la Russia ha iniziato a invadere l’Ucraina, mostra che rimarrà in armonia e coordinamento con l’occidente e la Nato, ma senza mettere in pericolo il suo legame con questi due paesi.

Atlantismo

La Turchia, che ha attuato la Convenzione di Montreux e ha impedito a più navi da guerra russe di accedere al Mar Nero, attraverso il mar di Marmara e gli stretti dei Dardanelli e del Bosforo, afferma che non intende imporre sanzioni alla Russia e che farà del suo meglio per mantenere aperti i canali di dialogo con Mosca per la soluzione del problema, accolto con favore anche dall’Occidente.
Con le dichiarazioni rese il giorno dell’inizio dell’operazione, che la Russia definisce “operazione militare speciale”, la Turchia ha chiesto il rispetto dell’integrità territoriale e dell’unità politica dell’Ucraina e ha dichiarato di rifiutare l’attacco russo. La Turchia, che non ha riconosciuto l’invasione e l’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014, ha rivelato che continuerà ad agire insieme all’opinione pubblica internazionale con questa posizione che ha assunto. La Turchia ha anche appoggiato il testo della risoluzione di condanna della Russia all’Assemblea generale delle Nazioni Unite (Onu).

Oltre a condannare la Russia, la Turchia ha anche fornito all’Ucraina il massimo livello di sostegno. Il presidente Recep Tayyip Erdoğan, il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky e i ministri degli Esteri e della Difesa turchi si sono incontrati spesso con le loro controparti ucraine e hanno discusso degli sviluppi riguardanti l’occupazione russa esprimendo il sostegno della Turchia alla sovranità dell’Ucraina.
L’uso efficace dei droni armati “made in Turkey”, Bayraktar venduti dalla Turchia, che negli ultimi anni ha approfondito la cooperazione con l’Ucraina nel campo dell’industria della difesa, ha reso ancora più importante il dialogo tra i ministri della Difesa dei due paesi. Le dichiarazioni delle autorità ucraine di voler acquistare più droni dalla Turchia si sono riflesse anche sulla stampa durante questo processo.

Droni autarchici turchi: l'esercito di Ankara si fornisce di ogni dettaglio tecnologico dall'industria nazionale per equipaggiare il proprio gioiello bellico: i sistemi aerei senza pilota

Bayraktar-TB2 Sịha, che fanno strame dei carri armati russi incolonnati.

Sin dall’inizio della guerra, la Turchia ha annunciato di aver iniziato a inviare aiuti umanitari in Ucraina. Con tutti questi passi, la Turchia ha dimostrato di sostenere l’Ucraina.

Caro amico Putin

Il presidente della Repubblica di Turchia, prima e dopo l’inizio dell’operazione, ha dichiarato: «Non rinunceremo alle nostre relazioni speciali né con l’Ucraina né con la Russia» e ha lanciato il messaggio che cercherà di mantenere una politica equilibrata anche se la crisi approfondisse.

Tuttavia, ciò non ha impedito ad Ankara di «invitare Mosca a interrompere l’operazione il prima possibile». Nelle loro dichiarazioni, il presidente Erdoğan e il ministro degli Esteri Mevlüt Çavuşoğlu hanno sottolineato che l’operazione militare ha messo in pericolo la sicurezza sia regionale che mondiale e che la Russia dovrebbe rinunciarvi il prima possibile. Nelle dichiarazioni rilasciate alla stampa è stato anche affermato che Çavuşoğlu ha trasmesso direttamente questo richiamo al ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, con il quale aveva parlato al telefono.
La Turchia è stata anche tra i paesi che hanno criticato le minacce sventolate da Putin sull’eventuale utilizzo delle armi nucleari. İbrahim Kalın, il consulente per la politica estera del presidente Erdoğan, ha definito “sconcertante” il fatto che Mosca abbia messo sul tavolo la carta nucleare.

Con la Nato ma…

La dedizione della Turchia al patto transatlantico è molto discutibile da parecchi anni. Sia Trump sia Biden, diverse volte hanno criticato Ankara per le sue scelte militari e politiche in Siria e per le sue relazioni con la Russia. Mentre gli Usa sono arrivati anche alle sanzioni economiche e militari, con la Grecia e la Francia ci sono stati dei momenti di grande tensione e reciproche minacce in questi ultimi 2 anni.

La posizione di Ankara nel conflitto russo-ucraino
Settembre 2020, dispute tra appartenenti alla Nato nel Mediterraneo orientale: Grecia e Francia contro Turchia.

Tuttavia dalla guerra in Libia fino al caso degli uiguri, dall’Afghanistan alla produzione militare joint venture con gli alleati, dall’occupazione russa in Crimea e ora con l’appoggio a Kiev, possiamo dire che la Turchia ha seguito molto fedelmente la linea politica, economica e militare della Nato.

… It’s the economy…

La guerra in Ucraina arriva in un momento molto importante per la Turchia; sia per le sue relazioni forti con Mosca sia per la devastante situazione economica e politica che Erdoğan deve affrontare a casa. Un governo ai minimi storici nei sondaggi (meno di 35%) un anno prima delle elezioni presidenziali e parlamentari, sia per il lavoro di grande successo che portano avanti i sindaci delle opposizioni eletti nelle grandi città nel 2019 sia per l’enorme corruzione sempre più conosciuta e evidente che rappresenta il governo e la famiglia del presidente della Repubblica. Ovviamente a questa situazione catastrofica politica bisognerà aggiungere anche la crisi economica senza precedenti. Un’inflazione che supera la soglia del 130%, una Lira che perde il suo valore ogni giorno davanti alle monete straniere, una povertà diffusa e terribile e un vuoto nel fisco che spinge Ankara a svendere qualsiasi cosa al capitale russo, cinese e mediorientale.

… l’intermediario

Insomma: le scelte discutibili, radicali e pericolose di Erdoğan, operate in questi ultimi anni per consolidare un rapporto forte con Putin, fanno paradossalmente sì che la Nato trovi in Ankara un alleato a cui attribuire un ruolo chiave in questo conflitto. Quello del mediatore. Dall’altro lato Erdoğan non vorrebbe assolutamente perdere l’occasione per fare una forte propaganda elettorale nella politica interna portando a casa prestigio, rispetto e forse anche un po’ di soldi, vista la situazione economica e elettorale devastante.

Mediazione

Infatti l’incontro importante ma non fruttifero, avvenuto ad Antalya in Turchia, tra il ministro degli Esteri russo Lavrov e quello ucraino Kubela il 10 marzo è una delle dimostrazioni del fatto che il governo centrale vorrebbe lavorare come mediatore in questo conflitto, molto probabilmente per portare a casa un paio di carte vincenti. L’impegno apprezzato sia da Zelensky sia da Putin ha ricevuto anche gli applausi dal segretario generale della Nato, Stoltenberg che ha espresso la sua gratitudine direttamente al presidente della repubblica di Turchia quando l’ha incontrato durante la sua visita ad Ankara l’11 marzo.
Inoltre, la Turchia si era astenuta, il 26 febbraio, dal votare contro la sospensione della Russia nel Consiglio d’Europa, sulla base del fatto che «una completa interruzione del dialogo e la demolizione dei ponti non sarebbe vantaggiosa». Il ministro Çavuşoğlu ha dichiarato: «Non dovremmo concordare sull’interruzione del dialogo. C’è qualche vantaggio per il Consiglio d’Europa nel rompere i legami con la Russia qui? No. Ecco perché ci siamo astenuti nella votazione. Perché questo comporterebbe la chiusura del dialogo». Tuttavia il 17 marzo, durante una riunione straordinaria: «Il Comitato dei Ministri ha deciso, nel quadro della procedura avviata in virtù dell’articolo 8 dello Statuto del Consiglio d’Europa, che la Federazione russa cessa di essere membro del Consiglio d’Europa a partire da oggi, 26 anni dopo la sua adesione».

La diplomazia di Twitter e le telefonate private

Ankara, sin dall’inizio della guerra, ha mantenuto l’opinione secondo la quale tenere aperti i canali di dialogo con Mosca avrà un impatto positivo sul processo negoziale avviato tra funzionari russi e ucraini. Il consulente per la politica estera del presidente Erdoğan, İbrahim Kalın, in una dichiarazione alla stampa turca, ha affermato che la Turchia segue da vicino il processo negoziale tra le parti in guerra e trasmette i suoi suggerimenti alla Russia, soprattutto grazie al dialogo in corso.
A tutti questi passi e dichiarazioni ovviamente dovremmo aggiungere il continuo traffico di telefonate tra Ankara, Mosca e Kiev e i ringraziamenti di Zelensky direttamente verso Erdoğan comunicati ripetutamente su Twitter, per il suo sostegno

https://youtube.com/watch?v=n8vnFrcF3rA%3Fwmode%3Dopaque%26rel%3D0

Importanti relazioni sia con Kiev sia con Mosca

In un’intervista rilasciata alla Cnn International, İbrahim Kalın ha dichiarato di non volere che i loro forti legami economici con Mosca, inclusi settori come l’energia, il turismo e l’agricoltura, siano danneggiati, e ha sottolineato che credono nei vantaggio provenienti da una condizione di dialogo alternativa all’imposizione di sanzioni.

La Turchia, che l’anno scorso ha ospitato circa 5 milioni di turisti russi (e 2 milioni di ucraini), ha preferito non assecondare i paesi occidentali che hanno chiuso il loro spazio aereo.

La Russia è il più grande fornitore di gas naturale della Turchia e sta anche costruendo la prima centrale nucleare del paese. I primi reattori dovrebbero essere messi in servizio nel 2023. Il volume degli scambi tra Turchia e Russia supera i 20 miliardi di dollari. I due paesi puntano ad aumentare questa cifra a 100 miliardi di dollari.

Questo rapporto commerciale in crescita vale anche per l’Ucraina. Secondo la Camera di Commercio di Istanbul (Ito) nel 2021 il volume commerciale superava i 7,4 miliardi di dollari Usa e nel 2022 l’obiettivo è raggiungere i 10. Solo nell’ultimo incontro avvenuto il 3 febbraio sono stati firmati ben 8 accordi commerciali tra Erdoğan e Zelensky. La collaborazione tra questi due paesi è in forte crescita anche nel campo militare.

Mediatori sì ma non da soli

La crisi energetica, l’interruzione dei rapporti commerciali, degli investimenti finanziari e del gigantesco riciclaggio di soldi nelle banche europee e in collaborazione con le mafie europee e la minaccia sulla sicurezza cibernetica sono solo alcuni punti che necessitano un piano B nel caso in cui le cose si mettessero molto male a lungo termine con Mosca. Dunque a questo punto insieme ad Ankara subentrano nel gioco due altri attori insospettabili: Grecia e Israele.
La Turchia, ultimamente, sembra che stia ricucendo i suoi rapporti con questi due “alleati”/vicini.

Israele, una volta “razzista” e ”terrorista” per Erdoğan

Infatti non è un caso che il presidente della Repubblica d’Israele, Isaac Herzog, abbia visitato la Turchia, incontrando il suo omologo turco il 9 di marzo. Una visita che era stata già organizzata ma ovviamente ha assunto un’importanza particolare in questo periodo esattamente come il contenuto delle dichiarazioni finali.

«Sia l’inizio di una nuova fase nelle relazioni tra questi due paesi. Dobbiamo rafforzare i nostri obiettivi commerciali soprattutto nel campo dell’energia»: erano alcune parole pronunciate da Erdoğan alla fine dell’incontro. Herzog invece ha voluto parlare anche della convivenza dei popoli, la pace tra le religioni e ha pure citato una poesia di Hikmet.

Secondo il conduttore televisivo israeliano, Mohammad Micedle, questi due paesi hanno obiettivi in comune in Siria e in Ucraina. Quindi devono lavorare insieme. Invece secondo, Jonathan Freeman, uno dei professori dell’Università di Gerusalemme il ruolo di questi due paesi acquisisce un valore aggiunto derivante dalla guerra in Ucraina soprattutto nell’ambito della sicurezza, dell’energia e dal punto di vista economico.

«Grecia e Cipro avranno le risposte che meritano» (Erdoğan, 14 ottobre 2020)

Lo stesso tipo di visita a Istanbul è stato effettuato il 13 di marzo anche dal primo ministro greco Kyriakos Mītsotakīs con Erdoğan.

L’incontro si è concluso con una serie di buoni intenti e progetti legati al «nuovo piano di sicurezza in Europa alla luce della guerra in Ucraina, lotta contro l’immigrazione irregolare e rafforzamento dei rapporti commerciali».

Una nuova fase, una nuova era positiva e felice meno di 2 anni dopo quel famoso momento di crisi registrato nelle acque dell’Egeo che portava quasi alla guerra questi due vicini storici; come l’incontro tra Erdoğan e Herzog mette la parola fine ai dissapori sorti nel maggio 2010 con la vicenda della Freedom Flotilla e l’assalto alla Mavi Marmara, nave turca assaltata dai servizi israeliani che causarono la morte di 9 marinai turchi.

La posizione di Ankara nel conflitto russo-ucraino
Assalto del Mossad alla nave turca Mavi Marmara in rotta verso Gaza nel maggio 2010: causarono 9 morti tra l’equipaggio e il pretesto al presidente turco per ergersi a paladino della causa palestinese.

Oligarchi e oppositori già in Turchia

Approfittare della fuga dei capitali dai paesi in conflitto e isolati è una scelta ormai molto diffusa in diversi angoli del mondo. Esattamente come quello di aprire le porte agli oppositori che a lungo andare potrebbero rappresentare una “carta” politica importante nei confronti dell’alleato di oggi. La Turchia ha fatto queste mosse ospitando quell’enorme quantità di denaro dello stato libico e di quello venezuelano nei momenti di grande crisi economica, politica e militare. Questa scelta fatta da Tripoli e Caracas comporta fedeltà e collaborazione e per Ankara la parziale disponibilità di questi due paesi rappresenta anche un elemento di forza nei confronti dei suoi alleati. In merito alla presenza degli oppositori invece possiamo citare il caso degli uiguri in fuga dallo Xinjiang e dei tatari scappati dalla Crimea in due tempi diversi in questi ultimi anni, rendendo così la Turchia rifugio degli oppositori e degli oppressi per quegli attivisti che rappresentano “minaccia e problema” per gli alleati Cina e Russia.

La storica attrazione per Istanbul

Secondo il professore universitario, Aydin Sezer, la vicinanza geografica della Turchia fa sì che per chi volesse portare via il suo capitale dalla Russia la rende più accessibile e attraente rispetto alla Cina e ai paesi del Golfo. Nel suo intervento fatto in diretta il 7 marzo, organizzato dal portale di notizie “Gazete Duvar”, Sezer sostiene che numerose aziende russe stanno già avviando operazioni di acquisto dei beni di lusso, immobili costosi e vari investimenti finanziari a Istanbul. La stessa notizia è stata approfondita il 15 marzo in un articolo di Nuran Erkul Kaya ed Emre Gurkan Abay anche sul sito dell’agenzia di stato “Anadolou Ajansi” e un’esaustiva carrellata di patrimoni investiti in Turchia da parte di oligarchi russi molto vicini a Putin è stata redatta da Aytug Ozcolak su “medyascope”.
In una notizia firmata da “Euronews”, il 15 marzo, invece si parlava di quelle migliaia di “benestanti” russi che hanno deciso di lasciare la Russia per via della loro opposizione contro la guerra ma anche perché pensano che una catastrofe economica sia in arrivo. Lo stesso argomento era stato reso pubblico il giorno prima anche da “The New York Times”. In questo articolo, firmato da Anton Troianovski e Patrick Kingsley, si citavano i principali paesi di destinazione come Armenia, Georgia, Uzbekistan, Kirghizistan e Kazakistan ma anche la Turchia. Perché?

Un turco trasporta nella neve stambulina materassi comprati da organizzazioni umanitarie per aiutare profughi russi contrari alla guerra e timorosi della catastrofe economica russa.

I motivi sono parecchi. Per esempio, nonostante il fatto che i paesi europei abbiano chiuso i loro spazi aerei agli aerei russi, la Turchia non l’ha fatto e questa scelta rende Istanbul una delle alternative per i russi che vogliono lasciare il paese. Solo la Turkish Airlines continua a organizzare 5 voli al giorno per Mosca e, insieme ad altre compagnie, questo numero supera i 30 in alcuni giorni. Kirill Nabutov, un commentatore sportivo di 64 anni fuggito a Istanbul, nell’intervista rilasciata al quotidiano statunitense afferma che la storia si ripete. Anche la cugina della madre di Nabutov fuggì a Istanbul nel 1920 e da lì andò in Tunisia. Anche se non grande come gli ucraini, questa fuga ricorda quelle 100.000 persone in fuga dalla guerra civile negli anni Venti, dopo la rivoluzione bolscevica, rifugiate a Istanbul.

Politica interna appesa ai colpacci internazionali

Il ruolo della Turchia, da diversi punti di vista, possiede un peso importante in questa fase storica che sta attraversando prima di tutti l’Ucraina poi il resto del mondo. Questo ruolo senz’altro è dovuto alle relazioni che Ankara ha costruito in questi ultimi anni, quelle relazioni basate sul reciproco sfruttamento, esattamente come diversi leader mondiali fanno da tempo. A questo fattore sarebbe opportuno aggiungere anche la crisi diplomatica, economica, energetica e politica in cui si trovano alcuni alleati della Turchia. Come abbiamo visto nell’esperienza della “gestione dei migranti” e nei conflitti armati in Libia e Azerbaigian/Armenia, dove l’incapacità oppure l’indifferenza dell’Unione europea e della Nato subalterna, Ankara approfitta dell’occasione. Infine la situazione economica e politica, devastante, in cui si trova il governo di Erdoğan deve fare qualcosa. Un leader che ha sempre fatto alimentare la politica interna con quella estera non può perdere quest’occasione sperando di perdere a casa qualche vittoria. Ce la farà? Questo dipende anche dagli alleati e dai partner della Turchia.

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