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25 aprile 2023

CLICCA QUI: Memoriale Della Resistenza Italiana E QUI SOTTO

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Nino Boeti nuovo presidente provinciale ANPI di Torino

RADIO PODEROSA INTERVISTA NINO BOETI

A cura di Stefano Alberione e Cesare Manachino

ASCOLTA QUI: Nino-Boeti-30.03.2022

Nino Boeti nuovo presidente ANPI provinciale Torino

L’ex presidente del Consiglio regionale: “Lavorerò perché la Costituzione, la libertà, la solidarietà, l’uguaglianza continuino a essere le basi su cui si fonda la democrazia nel nostro Paese”

dal sito Torino oggi

L’Anpi Provinciale di Torino ha un nuovo Presidente. Eletto sabato 12 marzo presso la Camera del Lavoro della CGIL, Nino Boeti, già Presidente del Comitato Resistenza e Costituzione della Regione Piemonte e Presidente del Consiglio Regionale stesso.

Sento molto la responsabilità di questo incarico” ha affermato il neo Presidente, “che cercherò di onorare nel modo migliore possibile”. L’Anpi Provinciale conta oggi 6.300 iscritti e 80 Sezioni una delle più numerose in Italia. Uomini e donne che impegnano il loro tempo per tenere viva la memoria sul coraggio di partigiane e partigiani che con il loro sacrificio hanno garantito la libertà del nostro Paese.

Con queste donne e questi uomini”, ha detto Boeti, “lavorerò perché la Costituzione, la libertà, la solidarietà, l’uguaglianza continuino a essere le basi su cui si fonda la democrazia nel nostro Paese

Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione. (P.Calamandrei)

Comitato Provinciale di Torino

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Solidarietà all’A.N.P.I.

da Casa Memoria Impastato

ANPI

Vogliamo dare la nostra solidarietà all’A.N.P.I. che sta subendo tantissimi attacchi per aver difeso le ragioni della pace contro gli orrori della guerra, non unendosi al coro bellicista del governo e del parlamento, cercando invece di alimentare un dibattito pluralista e di analizzare la complessità andando oltre le semplificazioni che servono a diffondere un odio costante e un clima da tifoseria che poco ha a che fare con l’autentica difesa delle persone che subiscono la violenza della guerra.

L’A.N.P.I. è stata orribilmente ed ingiustamente definita “filo-putiniana” (e sappiamo quali invece sono stati i governi e i politici  che hanno sostenuto in questi ultimi anni Putin di cui erano già ben note le politiche autoritarie e antidemocratiche), allo stesso modo in cui in questi giorni vengono additati ed insultati i pacifisti, colpevolizzati ed accusati di cinismo (dunque i cinici e violenti sarebbero le persone che lottano contro la produzione ed il commercio delle armi e non chi specula e guadagna su strumenti di morte costruiti per uccidere esseri umani, o gli stessi assassini che le usano). Quei pacifisti che rifiutano la brutale logica delle armi chiedendo ai governi di risolvere i conflitti con la diplomazia, quegli stessi che organizzano carovane per portare aiuti umanitari o per salvare i rifugiati (ucraini ed anche quelli di tutte le altre guerre che colpiscono molte parti dal nostro pianeta) sono accusati di sostenere la propaganda di Putin, anche se, come l’A.N.P.I., hanno condannato fortemente e apertamente la guerra di Putin. Purtroppo chi da sempre è allineato nel sostenere gli imperialismi, non ha gli strumenti per comprendere il punto di vista di chi sta dalla parte dei popoli, di chi chiede che non vengano massacrate ancora vite umane. Dire un forte e chiaro No a Putin non significa doversi schierare acriticamente con la NATO, soprattutto se lo si fa assistendo al massacro del popolo ucraino.

L’A.N.P.I è un’associazione che nasce per difendere la Costituzione (anche l’articolo 11 “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”), si batte da sempre contro il fascismo e l’oppressione, ha contribuito a diffondere nel nostro Paese una cultura democratica e non ha bisogno di lezioni di resistenza e di coerenza da nessuno, soprattutto da chi in tanti anni ha sostenuto o non si è schierato nettamente contro guerre, fascismi, dittature, massacri, morti in mare etc, etc

Casa Memoria Impastato

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Pagliarulo: “Non siamo equidistanti e usano Liliana Segre contro l’ANPI”

In un’intervista a Il Fatto quotidiano Gianfranco Pagliarulo risponde al modo con cui certa stampa ha trattato e continua a trattare il Congresso nazionale ANPI a Riccione

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https://youtu.be/A5rXZzHataQ

RELAZIONE DEL PRESIDENTE NAZIONALE DELL’ANPI
AL XVII CONGRESSO NAZIONALE


Riccione, 24 marzo 2022
Oggi, 24 marzo 1944, dalle 15.30 alle 20, in 67 turni, sono sterminate 335 persone. Siamo alle
Fosse Ardeatine in un giorno nero, come la croce uncinata e i vessilli fascisti.
Oggi, 24 marzo 2022, la memoria ci riporta a quel giorno e le delegate e i delegati al XVII
Congresso nazionale dell’ANPI non dimenticano e non dimenticheranno mai.
A loro questo devo, dobbiamo tutti, deve l’Italia.
Non posso non ricordare, avviando questa relazione, la nostra carissima compagna Carla
Nespolo, scomparsa il 4 ottobre 2020, la Presidente che ha diretto fino all’ultimo giorno dal
letto di un ospedale l’insieme della nostra associazione.
Assieme, rammento il compagno e amico Luciano Guerzoni, già vicepresidente vicario,
scomparso il 10 agosto 2017. Di lui ricordo la saggezza politica e la passione civile, esattamente
democratica, di cui noi vogliamo essere continuatori.
Infine una parola su Marisa, già vicepresidente nazionale ANPI, scomparsa il 19 dicembre. L’avevo chiamata Marisa libera e ribelle, Marisa delle stelle. La staffetta Marisa Ombra.
Con Carla, con Luciano, con Marisa, penso a tutte le compagne e i compagni che ci hanno
lasciato in questi anni e che, tutte e tutti, ci hanno consegnato una testimonianza di vita
partigiana e antifascista che ci serve come bussola costante nei marosi del tempo che viviamo.
UN ANNO DOPO IL DOCUMENTO CONGRESSUALE
Ringrazio davvero autorità e personalità che ci onorano della loro presenza. E vorrei dire subito
che già in questo, nel volontariato, nelle associazioni, nei movimenti, nei sindacati, nei partiti,
nelle donne e negli uomini della cultura che sono qui con noi c’è il segno di una novità, di un
congresso che parla certo all’ANPI, ma vuole parlare anche al Paese, in un momento
drammatico in cui il dialogo e la ragionevolezza sono le armi più forti che abbiamo tutti in
mano.
Del documento congressuale si è parlato a lungo in questi mesi. Non serve che lo riassuma. È
invece indispensabile affrontare subito l’emergenza attuale, la guerra. Ma prima vorrei dire che
l’intero percorso congressuale è stato innervato dalla proposta di una grande rete unitaria,
un’alleanza di tipo nuovo, per salvare l’Italia. Rilancio oggi questa proposta carica di ulteriori
significati quando vogliamo e dobbiamo essere tutti uniti verso unico obiettivo: la pace.
E aggiungo che, pur essendo stato pubblicato nel maggio del 2021, nel documento congressuale
si individuavano con sufficiente chiarezza e lungimiranza le linee di tendenza dell’immediato
futuro e gli stessi pericoli con cui oggi dobbiamo drammaticamente fare i conti. Siamo davanti
alle miserie della guerra, cioè all’osceno spettacolo di morte quotidiana, e alla guerra delle
miserie, cioè a una sconcertante informazione e al pericolo di una militarizzazione del dibattito
pubblico; basti considerare su alcuni dei più importanti quotidiani italiani il misto di fake news
e aggressioni verbali a chiunque si permetta di contraddire il loro verbo. Esattamente il
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contrario della difesa dei valori occidentali di cui si dicono vessilliferi. Si attribuisce ad Eschilo
questa frase: la prima vittima della guerra è la verità.
Ciononostante noi dobbiamo mantenere una visione alta delle cose, senza alcun ottimismo di
maniera, ma in modo positivo e propositivo, perché, care compagne e cari compagni, cari amici,
nonostante la tragedia che si sta svolgendo, è davvero possibile un altro mondo incardinato su di
una parola trasversale. Fraternitè, dicevano i rivoluzionari del 1789, Fratelli tutti, titola
l’enciclica di Papa Bergoglio, Su fratelli su compagni, ha scritto Filippo Turati nel testo
dell’Inno dei lavoratori. E permettetemi un verso di tragica attualità: “Di che reggimento siete,
fratelli?”, scriveva Ungaretti nella sua poesia più famosa. Ecco, questa non è una prospettiva
irrealizzabile, mistica, astratta. È una condizione di sopravvivenza che stiamo misurando nella
pandemia, misuriamo e misureremo negli effetti del riscaldamento globale, abbiamo sempre
misurato in tutte le guerre. Questo è l’orizzonte, che è possibile solo se qui ed ora pensiamo al
dopo Ucraina, cioè se dopo le macerie immaginiamo la ricostruzione e in questa immaginazione
lanciamo un messaggio di fiducia, contrastando lo scenario di una nuova guerra fredda o
peggio, di qualsiasi espansione della guerra calda, di qualsiasi passaggio dall’equilibrio del
terrore del 900 ad un terrore senza equilibrio. Più grande è il pericolo di guerra, più dobbiamo
lavorare da oggi a partire dall’Europa, a un rilancio mondiale, di una nuova coesistenza pacifica
in un mondo multipolare in cui tutti i Paesi e tutti i popoli possano vivere in pace e sicurezza.
LA GUERRA
Per questo nel tempo straordinariamente drammatico che viviamo vorrei lanciare ad ogni forza
operante nel nostro Paese un appello alla responsabilità. La mattina del 24 febbraio, a poche ore
dall’inizio dell’invasione, la segreteria nazionale dell’ANPI riunita in sessione straordinaria, ha
approvato un comunicato che inizia così: “Si condanna fermamente l’invasione dell’Ucraina da
parte della Federazione Russa. È un atto di guerra che nega il principio dell’autodeterminazione
dei popoli, fa precipitare l’Europa sull’orlo di un conflitto globale, impone una logica imperiale
che contrasta col nuovo mondo multipolare, porta lutti e devastazioni”. Ribadiamo con la
massima energia questa condanna inappellabile, perché contrasta con i principi universali di
libertà e democrazia che sono anche i fondamenti ideali dell’Anpi. Non è in discussione perciò
la condanna irreversibile dell’invasione russa, le violenze imperdonabili, la piena e concreta
solidarietà col popolo ucraino e il suo diritto alla resistenza, la necessità di un’azione di
contrasto al prosieguo della guerra, la preoccupazione e l’allarme per le conseguenze sul piano
internazionale di tutto ciò che sta accadendo. E’ in discussione questa o quell’azione che deriva
da queste convinzioni ma specialmente come ne discutiamo. In realtà da quel drammatico 24
febbraio in poi si è avviata una polemica debordata in particolare dal giorno in cui il Parlamento
italiano ha deciso l’invio di armamenti in Ucraina. In tanti, fra cui l’Anpi, non hanno condiviso
questa scelta. Ma il bersaglio delle polemiche si è incentrato sull’Anpi. È urgente uscire da
questo infecondo terreno. Abbiamo discusso della critica all’invio di armamenti nei congressi
dell’ANPI che si sono svolti da quel giorno fra cui Roma e Milano e in varie altre riunioni, e
abbiamo registrato il consenso attivo alle nostre posizioni della grande parte dei compagni, fra
cui tanti partigiani. Ma si sappia che l’ANPI non è una caserma ma una casa, è un’associazione
plurale in cui, per nostra fortuna, ci possono, aggiungo, ci devono, essere opinioni diverse. Si
chiama democrazia e ne siamo orgogliosi. Lo dico chiaramente: vogliono fomentare contrasti
fra partigiani e generazioni successive, o addirittura fra i partigiani? Hanno capito male. Noi,
l’Anpi, con opinioni anche diverse su questo o quel problema, siamo più uniti che mai. Se
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qualcuno crede di dividere l’Anpi ha sbagliato tutto nella vita. Peraltro, com’è naturale, c’è in
generale su questi temi drammatici una diffusa e virtuosa dialettica. Per esempio abbiamo
registrato con piacere autorevolissime voci contro il ciclopico aumento delle spese militari in
partiti che alla Camera hanno votato a favore. È la democrazia, bellezza.
Dunque, invitiamo testardamente tutti quelli che la pensano come noi, che sono tantissimi e tutti
quelli che non la pensano come noi, politici, giornalisti, saggisti, a evitare il terreno dello
scontro e a scegliere, invece, la linea del confronto tra posizioni. Noi rispettiamo ma esigiamo
di essere rispettati. Ribadiamo perciò, in piena autonomia, le nostre opinioni, le nostre posizioni
e specialmente le nostre preoccupazioni.
La condanna dell’invasione è irrevocabile. Ma dobbiamo cercare di capire le cause e il contesto
che hanno prodotto la situazione attuale non per giustificare ipocritamente l’intervento russo, ma
per porre all’ordine del giorno questioni capitali: nuovo ordine mondiale, sistema di sicurezza
collettiva, cooperazione e coesistenza pacifica. Per questo è un errore ignorare o minimizzare la
recente storia ucraina, da Maidan alle formazioni naziste ucraine, alla Crimea, al Donbass, alle
interferenze russe, al ruolo dell’Unione Europea, della NATO e degli Stati Uniti, alla strage
nazista alla Casa dei Sindacati di Odessa del 2014 a tutto quello che è successo ad est negli
ultimi vent’anni. A nostro avviso sbaglia chi guarda l’albero e non vede la foresta.
Per tutte queste ragioni non diamo scomuniche e non accettiamo scomuniche. Operiamo per
l’unità senza nascondere le legittime differenze.
Quello che sta succedendo cambia infatti l’Europa e il mondo. Questa guerra nel suo specifico
contesto non ha precedenti nella storia del dopoguerra e ci costringe perciò a pensare
l’impensabile, cioè a misurarci con una situazione che, nel suo crudo effettuarsi quotidiano, non
era mai stata prevista né francamente prevedibile. Ed ha proprio ragione Papa Francesco quando
condanna l’aggressione russa e afferma: “ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha
trovato”.
Si è traumaticamente disfatto l’ordine europeo avviatosi con la caduta del muro di Berlino.
Quest’ordine, genericamente chiamato liberale o liberal-democratico, a sua volta non aveva
mantenuto le promesse della caduta del muro. L’idea di un mondo multipolare, governato da
una nuova coesistenza pacifica causata dalla scomparsa dei blocchi contrapposti era stata
ripetutamente picconata da una serie di eventi di varia natura, ma in particolare di ordine
bellico: la prima guerra del golfo, la guerra nei Balcani e nel Kosovo, la successione di guerre
di invasione in Afghanistan, ancora in Iraq e poi in Libia. E infine in Siria.
Con Putin la Russia da tempo ha avviato un profondo processo di arretramento democratico
caratterizzato sì da un presumibile consenso popolare, ma anche da epurazioni, repressioni della
libertà di stampa e di manifestazione e dall’oscura morte di oppositori politici. Putin opera in
particolare nell’ultimo decennio nella ricostruzione di una sfera d’influenza della Federazione
russa dal Caucaso al Medio Oriente in una visione, a giudicare dai suoi recenti discorsi, di uno
specifico nazionalismo, a vocazione imperiale, incardinato sull’idea Grande Russa.
L’ordine europeo è stato infranto dai carri armati russi, ma il nuovo ordine che si prospetta
davanti a noi non è affatto quello di un’Europa pacificata e portatrice essa stessa di coesistenza
pacifica, accogliente rispetto al fenomeno epocale della migrazione, di una promozione di una
nuova stagione di diritti sociali, di un nuovo tempo di solidarietà e fratellanza fra i popoli, di
una riconquistata centralità del lavoro in un più generale superamento di un sistema economico
sociale che si è rivelato ingiusto e inefficace. Al contrario l’Unione Europea di domani si
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presenta con tratti oscuri ed inquietanti, ma per alcuni aspetti più coesa davanti alla percezione
di un pericolo proveniente dall’Est. Un continente diviso in due: da un lato la Russia e i suoi
pochissimi alleati, dall’altro l’Unione Europea. La stessa struttura della NATO che fino a
qualche settimana fa appariva obiettivamente obsoleta ed indebolita, ma assieme arrogante per i
suoi ripetuti interventi in missioni e teatri del tutto estranei alle sue finalità di esclusiva difesa
degli Stati aderenti, ha trovato presumibilmente una nuova legittimazione internazionale a causa
dell’aggressione russa.
Le conseguenze del conflitto, delle sue reazioni e controreazioni, mi riferisco in particolare alle
sanzioni, saranno pesantissime dal punto di vista economico e sociale sia in Russia che nei
Paesi dell’Unione Europea e ovviamente in Italia.
Alla radice di questo disastro c’è un Paese – ho già detto – con una forte propensione imperiale
derivata dalla sua lunga e per molti aspetti drammatica storia che in palese violazione del diritto
internazionale, e col suo carico di distruzioni e di vittime, di un popolo a cui esprimiamo
vicinanza e totale solidarietà, invade un Paese molto meno potente; questo Paese a sua volta è
fortemente nazionalista, ha una presenza dichiarata di formazioni filonaziste prima ignorate ed
oggi minimizzate in occidente, è insanguinato da una guerra civile che dura dal 2014.
Non dimentichiamo, infine, le tensioni presenti nei Balcani dove la guerra in corso può
determinare ulteriori imprevedibili conseguenze fra e nei Paesi della ex Jugoslavia, in
particolare in Bosnia-Erzegovina, in Kossovo, Paesi con forti tensioni nazionalistiche ed
etniche. Per non parlare della Serbia che non ha affatto dimenticato quasi tre mesi di
bombardamenti su Belgrado nel 1999.
Ci aspetta quindi un nuovo ordine ancora in parte oscuro nel caso in cui in qualche modo si
giunga a un negoziato che stabilisca un nuovo statu quo ad oggi, ancora, imponderabile; ma c’è
un secondo scenario che è irresponsabile sottovalutare e cioè che per una qualsiasi ragione il
conflitto si estenda. Qui c’è il crinale che distingue le posizioni dell’Anpi, di un larghissimo
schieramento pacifico e pacifista italiano e di tanta parte del mondo cattolico a cominciare da
“L’Avvenire”. Qual è il punto di non ritorno, la scintilla che può fare esplodere una guerra di
dimensioni più ampie? E’ chiaro che qualsiasi sanzione può essere letta dalla Russia – anzi è già
stata letta – come un gesto di ostilità, come confermato dalla polemica di pochi giorni fa contro
il governo italiano.
Ma l’invio di armi da parte di Paesi non belligeranti ad un Paese belligerante, ancorché per
difendersi da un’invasione, si può interpretare da parte dello Stato invasore come un atto di
cobelligeranza e comunque alza ulteriormente il livello della tensione internazionale. Ecco la
ragione della nostra critica a una scelta che abbiamo giudicato pericolosa, anche perché può
innescare lo spaventoso domino dell’estensione della guerra e mettere in discussione la nostra
sicurezza nazionale. Preoccupa l’impegno assunto l’altro ieri da Draghi per l’ulteriore invio di
armi e soldati oltre che la frettolosa e imperativa richiesta di far entrare l’Ucraina nell’Unione
Europea seminando così tensioni in tanti Paesi dei Balcani e non che da anni hanno avanzato la
loro candidatura. Ed ecco – aggiungo – la ragione della contrarietà che abbiamo sul programma
di riarmo rafforzato recentemente approvato dalla Camera.
Che l’Ucraina da tempo sia stata riempita di armi dalla NATO lo sanno tutti. Lo ha confermato
Jens Stoltemberg, segretario generale della NATO, sul Corriere della sera del 17 marzo: “La
NATO per anni ha fornito supporto agli ucraini mettendo a disposizione equipaggiamento
militare e addestrando migliaia di truppe che ora sono in prima linea”.
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Qual è stato poi l’effetto dell’invio degli ulteriori armamenti occidentali di questi giorni?
L’attacco missilistico russo ai convogli con tali armamenti a Leopoli, e dunque l’estensione del
teatro bellico, con nuove vittime e nuove distruzioni. Bel risultato! Una risposta militare ad
un’azione militare, una ulteriore escalation.
La domanda da porsi, nell’ambito di un piano di aiuti da inviare agli ucraini, è perciò quale sia
la linea rossa da non superare, oltre cui c’è il rischio di una conflagrazione. L’invio di
armamenti è sicuramente nei pressi della linea rossa, perché le sanzioni parlano il linguaggio
dell’economia, ma le armi parlano solo il linguaggio della guerra e, assieme all’aumento del
budget militare, ci avvicinano al coinvolgimento diretto del nostro Paese. Per di più ci danno
ragione i sondaggi in base a cui la maggioranza degli italiani non condivide la decisione di
inviare armi in Ucraina, sondaggi totalmente rimossi nel dibattito pubblico.
Sia chiaro che questo è solo un episodio su cui non è opportuno attardarsi. La situazione è un
continuo precipitare. E noi abbiamo l’obbligo di guardare avanti.
Tutto ciò, infatti, avviene in uno scenario in cui l’ONU è sostanzialmente latitante e l’Unione
Europea non si è mai presentata come un soggetto terzo negoziatore. Ripeto qua le parole che
ho sentito al congresso dell’ANPI di Roma dal compagno Aldo Pavia: “In una guerra non ci
sono né vincitori né vinti, ma solo superstiti”, a maggior ragione, aggiungo, sotto la spada di
Damocle del nucleare.
Lo scontro di civiltà fra oriente e occidente evocato da Putin, la violenza e l’estensione delle
battaglie in Ucraina, gli insulti pesantissimi di Biden verso Putin e la sua risposta, il ritorno
sfrenato del nazionalismo, l’ossessiva spinta alla no-fly zone, i toni isterici sia della Russia che
dei Paesi Ue, le fake news reciproche, persino le parole sul razionamento da parte di Draghi ci
provano che il piano inclinato si sta inclinando sempre più e sempre più velocemente.
Alla fine del precipizio c’è una sola parola: guerra. Ricordo che la corsa agli armamenti ha già
portato a due guerre mondiali. Per favore, fermatevi. La guerra non è inevitabile. Ci confortano
le quotidiane parole di Papa Bergoglio.
Aggiungo un concetto: dal giorno dell’invasione l’Unione Europea e l’Italia hanno risposto in
modo frenetico ad ogni mossa militare russa, accettando così la sua agenda. La domanda è:
come capovolgere la situazione presentando una agenda europea e italiana? Come uscire
dall’angolo?
Certo, ribadiamo con profonda determinazione la piena condivisione del massimo degli aiuti
umanitari al popolo ucraino, dell’organizzazione solidale dell’accoglienza ai profughi, di un
sistema di sanzioni intelligente e non suicida. Ma per tornare ad essere protagonista, occorre che
l’Unione Europea apra una un’altra strada, e si faccia perciò soggetto di due iniziative: una
trattativa seria e una proposta nuova di prospettiva. L’alternativa è solo la guerra.
Viviamo in un tempo in cui prima la crisi economica, poi la pandemia, oggi la guerra hanno
oscurato il significato della politica. Ecco, noi dobbiamo rilanciare la politica come alta capacità
di soluzione dei problemi, governo dei processi sociali, composizione delle controversie
internazionali. Tornare alla politica vuol dire cogliere ogni occasione per spegnere l’incendio
che, nelle sue proporzioni maggiori, vedrebbe l’Ucraina come campo di battaglia di un conflitto
di dimensioni internazionali. Qui ed ora la politica è la trattativa per la pace in Ucraina.
Lo dico con le parole di un gagliardo compagno di Milano, Nicola Croce: alla terza guerra
mondiale preferiamo la prima pace mondiale!
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Proprio perché viviamo in un drammatico momento, occorre lavorare ad un nuovo ordine
europeo (e mondiale) che scardini le prospettive di chiusure, tensioni, incomprensioni, forse
nuovi conflitti. L’ANPI lancia l’idea perciò che l’UE si faccia portatrice di una proposta rivolta
a tutti i Paesi europei non UE che a) aggiorni e ribadisca i dieci principi fondamentali degli
accordi di Helsinki del 1975 a cominciare dal riconoscimento dell’inviolabilità dei confini
nazionali; b) stabilisca un’ampia zona smilitarizzata e denuclearizzata lungo tutta la fascia di
confine fra la Russia e gli altri Paesi c) avvii un processo di diminuzione controllata di tutti gli
armamenti nucleari in Europa e nel mondo. Per questo l’Unione Europea deve essere
rappresentata con una sola voce, con un suo seggio al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite e farsi promotrice di una più generale riforma dell’ONU restituendo all’organismo
sovranazionale la sua funzione, oggi drammaticamente assente, di mantenere la pace, la
sicurezza internazionale e la composizione dei conflitti.
Aggiungo che senza un vero governo politico ed in particolare senza una comune politica estera
non sarà possibile alcuna autonoma politica di difesa.
Si è avviata una discussione su di un sistema di difesa europeo. Occorre che ne siano esplicitati
e chiariti gli obiettivi, che dovranno essere mirati alla esclusiva difesa interna del territorio
dell’Unione e dei suoi Stati membri ed esternamente solo al mantenimento della pace ed
esclusivamente su mandato dell’ONU nella consapevolezza che troppe volte, ormai da più
decenni, missioni militari di guerra sono state presentate come interventi a difesa dei diritti
umani o di interposizione. Ma va contrastata la tendenza, oggi prevalente, a considerare il
futuro sistema di difesa come aggiuntivo alla NATO avviando una riflessione sul suo ruolo. Le
ragioni originarie della NATO sono venute meno essendone caduti i presupposti storico-politici
col crollo del Muro di Berlino. Nel nuovo mondo multipolare e nella prospettiva di un sistema
di difesa europeo è perciò ragionevole una progressiva dismissione delle strutture NATO.
Ancora un’urgenza: l’Unione parli ad una sola voce sul tema dei migranti promuovendo una
vera politica di accoglienza dei profughi ucraini e di tutti gli altri profughi di altri Paesi
indipendentemente dal colore della pelle, dalle convinzioni religiose, dalle condizioni sociali,
dall’etnia. La dico in breve: c’è una brutta bestia in giro per l’Europa. Si chiama razzismo.
Vedete, care compagne e compagni, l’alternativa a queste o ad altre proposte è una nuova
cortina di ferro in una nuova guerra fredda in un reciproco precipitare dei principi di libertà e
democrazia. Noi, che siamo costruttori unitari di movimento per la pace, abbiamo il dovere di
contrastare questa deriva devastante. Questa è la nostra principale resistenza.
LA PANDEMIA
Il documento di cui abbiamo discusso in tutta la campagna congressuale è stato scritto nei primi
mesi del 2021. Da quel tempo è successo di tutto, dal governo Draghi alle conseguenze della
pandemia, alla morsa della crisi sociale, all’avvio del PNRR, dall’assalto fascista alla Cgil al
ritiro dall’Afghanistan, alla rielezione del Presidente Mattarella, fino alla drammatica situazione
di guerra in cui viviamo. A maggior ragione ci sembra che l’impalcatura del documento
mantenga la sua piena validità e la stessa visione di futuro. Mi soffermerò su alcune delle più
importanti novità avvenute da primi mesi del 2021.
Se consideriamo la quasi contestualità delle due tragedie, la pandemia e la guerra, possiamo far
nostre le parole del Presidente dell’Anpi di Bergamo, Mauro Magistrati, al suo congresso
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provinciale quando ha affermato: “Non è un’epoca di cambiamenti ma un cambiamento di
epoca”.
Ma è giunto il momento di trarre qualche lezione generale dalla tragedia globale della
pandemia. Il mondo si è diviso persino sui vaccini: i vaccini occidentali, russi, cinesi, cubani. E’
fallito l’obiettivo di una comunione mondiale della ricerca e della distribuzione. L’appello
dell’India e del Sud Africa, al fine di una sospensione dei brevetti tale da consentire in loco la
produzione dei vaccini, non è stato accolto anche grazie al rifiuto dell’Unione Europea, con la
conseguenza che una parte del mondo, la più povera, è ancora priva della copertura vaccinale.
Alla diffusione della pandemia ha corrisposto una espansione smisurata delle diseguaglianze
sociali, già profondamente aumentate negli ultimi vent’anni.
Abbiamo assistito al nascere e allo svilupparsi di un movimento composito, prima no covid, poi
no-vax, poi no-greenpass, che ha animato il dibattito pubblico e le piazze nei mesi scorsi.
Questo movimento contiene un coacervo di idee e di emozioni, dove coesistono critiche al
contrasto alla pandemia, spesso non condivisibili ma legittime, con pulsioni di tipo
antiscientifico, antirazionale, di pensiero magico e in alcuni casi con veri e propri deliri
misticheggianti o pseudoreligiosi. In questo magma si è inserita con successo, in alcune
circostanze con un ruolo egemone, l’eversione nera, il cui punto più alto è stato rappresentato
dall’assalto alla sede nazionale della Cgil.
Più in generale il portato della pandemia e dei provvedimenti conseguenti ha condotto a una
inedita situazione di solitudine sociale di milioni e milioni di cittadini con fenomeni depressivi i
cui effetti a lungo termine sono ancora da scoprire e con una latente paura che si è mescolata in
un cocktail micidiale con le mille difficoltà della vita quotidiana, a maggior ragione davanti al
pericolo di guerra.
LA SITUAZIONE SOCIALE ITALIANA
L’esperienza della pandemia ha messo a nudo il re, e cioè le incoerenze e le criticità del Titolo
V della Costituzione e ha drammaticamente confermato le ragioni della nostra profonda
opposizione ai progetti di autonomia differenziata perché portatori di una ineguale distribuzione
dei diritti, fra cui il fondamentale diritto alla salute, ampliando così in modo insopportabile il
divario fra regioni povere e regioni ricche e specificamente fra Nord e Sud del Paese.
Da questo punto di vista il PNRR non rappresenta quell’inversione di tendenza che tutti
auspicavamo quando nel gennaio 2020 abbiamo sottoscritto assieme a decine di altre
associazioni, sindacati e partiti un appello dal titolo “Uniamoci per salvare l’Italia”; allora
abbiamo sottolineato che la condizione per questo salvataggio era il cambiamento dell’Italia,
cioè la fuoriuscita, dosata, graduale, ma sempre fuoriuscita, da un impianto economico e sociale
che si era dimostrato per molti aspetti fallimentare e che aveva fra l’altro il suo paradigma nel
parziale svuotamento del sistema sanitario pubblico a vantaggio del privato. Aggiungo che è
mancato in occasione del PNRR quel grande dibattito civile, quell’insieme di informazione e
partecipazione, che avrebbe dovuto accompagnare il più grande stanziamento di fondi per la
rinascita del Paese dopo il piano Marshall.
Per aggiornarci sulla crisi sociale basta segnalare alcuni dati dell’ultimo rapporto Censis. Negli
ultimi trent’anni il salario medio in termini reali è aumentato in Germania del 33.7% e in
Francia del 31.1%; in Italia invece è diminuito – ripeto diminuito – del 2.9%. Aggiungo che ai
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positivi risultati del Pil nel nostro Paese nel 2021 corrispondono stime per il 2022 in continua
decrescita e lo scenario della guerra contribuirà sicuramente ad abbassarle ulteriormente
(industria delle armi a parte). L’inflazione al primo dicembre del 2021 era al 3,1% ha raggiunto
il 4.8% il primo gennaio 2022, la stessa cifra del marzo 1996, quando c’era ancora la lira. Nei
mesi successivi è cresciuta e ancora aumenterà per le conseguenze della guerra. L’aumento dei
costi energetici e l’effetto indotto delle sanzioni possono portare il Paese in una situazione
pesante che in termini tecnici si chiama stagflazione, cioè in un circolo vizioso rappresentato
dalla contestuale inflazione e recessione.
Sottolineo l’infinita serie di morti sul lavoro che sono una macchia indelebile sul nostro sistema
economico-sociale e che richiedono cambiamenti radicali e immediati perché, come ha detto il
Presidente Mattarella: “Dignità è azzerare le morti sul lavoro”. Ed ha aggiunto: “Le
diseguaglianze non sono il prezzo da pagare alla crescita. Sono piuttosto il freno per ogni
prospettiva reale di crescita”. Io vedo proprio in queste parole la proposta e la richiesta di un
sistema economico che non veda più le diseguaglianze come un inevitabile tributo allo sviluppo
industriale, o peggio ancora addirittura come uno stimolo a questo sviluppo.
Quando leggo che da marzo 2020 il patrimonio dei super ricchi è aumentato del 56% e che 13
italiani sono entrati nella lista delle persone più ricche del mondo a fronte di un milione di
nuovi poveri per un totale di 5 milioni e mezzo, mi chiedo se sia giunto il momento di realizzare
finalmente e compiutamente il dettato costituzionale, dove si afferma che il lavoratore ha diritto
a una retribuzione sufficiente per un’esistenza libera e dignitosa, che la donna lavoratrice deve
avere gli stessi diritti e le stesse retribuzioni, che la libera iniziativa economica privata non può
svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà,
alla dignità umana.
Una delle missioni dell’ANPI, come da finalità statutaria, è concorrere alla piena attuazione
della Costituzione italiana. Ecco, nei limiti delle nostre competenze e delle nostre stesse forze,
rinnoviamo nel nostro Congresso nazionale questo solenne impegno e questa urgente richiesta
alla politica, alle istituzioni, al nostro governo, proprio a partire dal fondamento della
Repubblica, dall’art. 1 della Costituzione. Chiediamo che nei fatti sia davvero e finalmente
un’Italia fondata sul lavoro.
LA CRISI POLITICA E LA QUESTIONE DEMOCRATICA
Abbiamo accolto con gioia ed entusiasmo la rielezione di Sergio Mattarella a Presidente della
Repubblica. Ma non possiamo nasconderci le dinamiche che hanno portato a tale elezione e che
hanno manifestato l’ennesima conferma del cortocircuito di questo sistema partitico.
Negli ultimi quarant’anni la macchina politico-istituzionale ha costantemente premuto
l’acceleratore sul tema della governabilità e il freno sul tema della rappresentanza. Questa guida
non poteva che impazzire e condurre, grazie anche alle leggi elettorali, a un Parlamento sempre
meno rappresentativo fino al madornale errore del taglio dei parlamentari. In base al principio
della riduzione del danno noi pensiamo che occorra una legge elettorale che davvero rappresenti
le proporzioni dei voti alle singole liste, e non dimentichiamo che all’alba del referendum il
sistema politico si era impegnato nella riscrittura di tale legge e che tale impegno non è stato
onorato.
Aggiungo che siamo preoccupati per il nesso fra l’attuazione del Titolo V della Costituzione e
la sua per così dire apologia, cioè l’autonomia differenziata da un lato, e dall’altro le pulsioni
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presidenzialiste che si fanno sempre più crescenti. La proposta presidenzialista è stata rilanciata
per l’ennesima volta nei mesi scorsi da Giorgia Meloni, accompagnata dal corollario di una
richiesta di Assemblea costituente. Ricordo che per definizione tale Assemblea destituisce i
precedenti poteri e le precedenti regole costituendone ovviamente di nuovi. E ricordo altresì che
le regole precedenti si chiamano Costituzione della Repubblica.
Noi pensiamo, in ottemperanza alla Costituzione, che la Repubblica parlamentare vada
mantenuta e radicalmente rafforzata, ricostruendo l’equilibrio, che si è fortemente indebolito
negli ultimi decenni, fra i tre poteri, esecutivo, legislativo, giurisdizionale, che il parlamento
torni ad essere centrale, che vada potenziata e non più depressa la rete dei corpi intermedi di cui
parla la Costituzione all’art. 2, che costituiscono un nerbo della vita democratica del nostro
Paese, che ci sia più bisogno che mai della presenza di partiti, associazioni e istituzioni sul
territorio al fine di ricostituire la grande sconfitta degli ultimi vent’anni e cioè la partecipazione
popolare, perché la partecipazione popolare e la rappresentanza istituzionale costituiscono le
colonne della democrazia costituzionale.
Noi pensiamo da questo punto di vista che ci servano le idee dei Costituenti e le idee dei
partigiani, e cioè che la democrazia non sia mai un dato certo, assoluto, concluso, ma sia
qualcosa di fragile, che si può rompere per attacchi esterni o interni e che perciò vada non solo
difesa, ma continuamente alimentata, debba espandersi, presentarsi in diverse e articolate forme
nella vita sociale, rappresentare la pluralità delle opinioni, incarnarsi nella costante conquista di
diritti civili e di diritti sociali, nella permanente affermazione dei diritti umani, che troppe volte
oggi sono visti in modo alternato, e chiamiamo questa democrazia antifascista che vorremmo,
che cresce e diventa anima di una società libera e liberata, col nome di democrazia progressiva.
Noi pensiamo che questa dovrebbe essere la base ideale di una nuova statualità.
Ma consentitemi, a proposito di diritti umani, di inviare a Patrick Zaki l’abbraccio del congresso
nazionale; e consentitemi anche di lanciare un appello: libertà per Julian Assange! No
all’estradizione negli Stati Uniti.
IL PROBLEMA DEL NEOFASCISMO
Abbiamo però nello scenario nazionale un convitato di pietra, vale a dire formazioni
organizzate che si ispirano direttamente al fascismo, al nazismo, al razzismo e formazioni
politiche che in qualche modo si collegano a questi filoni. Parlo anche di una realtà europea in
cui non si contano più le formazioni sovraniste di destra e discriminatorie, in contrasto con il
principio dello stato di diritto, secondo un noto copione i cui primi titoli sono l’Ungheria e la
Polonia.
Le declinazioni nazionali di questo fenomeno hanno accenti e propensioni specifiche, spesso
con reciproche e non irrilevanti differenze. Ma ciò che li accomuna è un nazionalismo di tipo
nuovo che ha avuto, in particolare dopo la Brexit, una evoluzione, presentandosi
sostanzialmente come un disegno di cambiamento della natura dell’Unione Europea dal suo
interno, un’Europa fortezza, stretta attorno alla difesa del suo territorio, delle sue religioni, dei
suoi costumi, e quindi chiusa al fenomeno migratorio, all’evolversi dei processi
dell’emancipazione civile e sociale, predisposta a una rilettura della sua stessa storia
tendenzialmente assolvendo le gravissime responsabilità della Germania nazista e dell’Italia
fascista.
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All’interno dell’Unione europea si è determinato un crescente conflitto tra forze sovraniste di
destra e forze liberali, liberal-democratiche e socialiste. Nel dicembre dello scorso anno mi sono
recato a Bruxelles dove ho avuto modo di incontrare diversi parlamentari europei di varie
nazionalità, validamente accompagnato dalla compagna Susanna Florio a cui abbiamo
recentemente dato l’incarico di seguire le dinamiche dell’Unione Europea. A tutti i parlamentari
ho chiesto di operare in due direzioni: approvare una risoluzione che sancisse a fondamento
dell’Unione europea il principio dell’antifascismo, dell’antinazismo, dell’antirazzismo; di dare
vita a corsi di formazione antifascista, antinazista, antirazzista per i giovani europei. È di pochi
giorni fa la notizia che l’Unione europea ha colto questa richiesta avviando la procedura per dar
vita a tali corsi. Ho inoltre avanzato altre due proposte: una legge che sanzioni le multinazionali
che delocalizzano dopo aver ricevuto finanziamenti pubblici; una trasformazione del fiscal
compact nel social compact, cioè in sostanza una misura di tutela delle condizioni economiche
dei ceti popolari.
In Italia registriamo la consistentissima forza dei due partiti di estrema destra, simili ma in
perenne e reciproca competizione. Inquieta ancora di più l’insieme di collegamenti con
formazioni neofasciste i cui rappresentanti ritroviamo alle volte come eletti nelle liste dei due
partiti sovranisti, in particolare Fratelli d’Italia. Il legame delle persone elette in questo partito
con il ventennio è conclamato.
Ricordo qui solo due vicende, uno in positivo e l’altro in negativo. Il primo è il caso dell’ex
sottosegretario Claudio Durigon. Demmo battaglia con un ampio schieramento di forze sociali e
politiche compreso il PD e 5Stelle, conseguendo la destituzione dal suo incarico del
Sottosegretario.
Il secondo è il caso di Mario Vattani, oggi ambasciatore italiano a Singapore. Rimane una
macchia su questo governo. Naturalmente per noi la vicenda non è chiusa e vedremo in futuro
se, come e quando, sarà possibile riprendere una battaglia che riteniamo giusta e necessaria.
Ricordo altresì tre analoghe circostanze che richiamano il tema del revisionismo storico e
dell’attacco alla libertà di ricerca. Mi riferisco alle mozioni del Consiglio regionale del Friuli
Venezia Giulia del 2018, del Veneto del 2021, e – ahinoi – del Consiglio regionale della Puglia,
del 2022, che mettono nel mirino della censura qualsiasi ricerca storica sulle foibe e sull’esodo
che non corrisponda alla presunta verità politica degli estensori delle mozioni e implicitamente
o esplicitamente attaccano l’ANPI e l’Istituto Parri. Esprimo a questo proposito la piena
solidarietà nostra allo storico Eric Gobetti, reo di credere più nella ricerca storica che nelle
verità della politica di destra e perciò vittima di una ininterrotta operazione di discriminazione e
di stalking.
In tutte queste circostanze abbiamo alzato la voce ovunque questa potesse essere ascoltata. Lo
facciamo anche adesso, nella sede del Congresso nazionale dell’ANPI, associandoci ad un
appello per la libertà di ricerca al Presidente della Repubblica lanciato lo scorso anno da
centinaia fra intellettuali e istituti storici.
L’IMPEGNO ANTIFASCISTA ATTUALE DELL’ANPI
Contro le formazioni neofasciste l’attività dell’Anpi nel tempo che ci separa dal precedente
Congresso è stata vastissima. Possiamo individuare il punto di partenza nel maggio del 2016,
quando l’allora Presidente Carlo Smuraglia e la Presidente dell’istituto Cervi Albertina Soliani
presentarono al Presidente della Repubblica il documento dal titolo “Per uno Stato pienamente
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antifascista” in cui si avanzavano una serie di proposte di carattere strutturale tese a espellere il
fascismo anche dal punto di vista culturale e formativo nei gangli istituzionali della Repubblica.
Fu successivamente – era presidente Carla Nespolo – che l’ANPI assieme a un vastissimo arco
di forze recapitò al Quirinale 300mila firme che richiedevano lo scioglimento delle
organizzazioni neofasciste. Questo può essere ritenuto il punto centrale.
Il punto di arrivo è avvenuto dopo l’assalto alla sede nazionale della Cgil, nel dicembre 2021
quando assieme ai rappresentanti di Cgil, Cisl, Arci, Libera ci siamo incontrati con i Capo
Gabinetto del Presidente del Consiglio e del Ministro degli Interni chiedendo lo scioglimento
delle organizzazioni neofasciste. Ancora una volta abbiamo avuto una risposta attendista in cui
in sostanza ci è stato detto che non ci sono le condizioni politiche.
Attorno a questi tre punti alti abbiamo messo in pratica una infinita quantità di iniziative locali e
nazionali tese verso il medesimo obiettivo, lo scioglimento delle organizzazioni neofasciste.
Non solo non desistiamo, ma dobbiamo incalzare sempre più le istituzioni..
Contemporaneamente ci siamo mossi in particolare in due direzioni, anche grazie al contributo
politico e tecnico di Emilio Ricci.
La prima è quella di una legge che preveda, in maniera sempre più stringente, la punizione delle
condotte di propaganda dei contenuti propri dell’ideologia fascista e nazifascista, di
discriminazione razziale, etnica e religiosa, nella prospettiva di una più puntuale attuazione
della XII disposizione finale della Costituzione e che integri, aggiorni e rafforzi la Legge
Scelba.
La seconda è quella di una integrazione delle norme in materia di intitolazione toponomastica,
che vieti l’attribuzione di vie e piazze, giardini ed edifici pubblici a personalità chiaramente
compromesse col fascismo.
Inoltre come Forum delle Associazioni antifasciste e della resistenza abbiamo avviato una
campagna per l’attribuzione di vie, piazze e giardini a nomi di donne e uomini legati alla
Resistenza e all’antifascismo storico.
A proposito di antifascismo è opportuno dire una parola sulle Forze Armate il cui ordinamento
– dispone la Costituzione – si informa allo spirito democratico della Repubblica e che –
aggiungo – nascono da quel “nuovo esercito italiano” che risalì la penisola con gli Alleati per
liberare il nostro Paese. Val la pena ricordare il nesso fra tale ordinamento, l’art. 11 della
Costituzione, il ripudio della guerra, e l’art. 52, la difesa della patria come sacro dovere del
cittadino. L’ANPI non dimentica il ruolo delle Forze Armate durante la Resistenza,
dall’immane sacrificio di Cefalonia, ai tanti carabinieri che contrastarono i tedeschi, al ruolo
della guardia di finanza e di tanti altri corpi dello Stato in quei drammatici mesi, alle centinaia
di migliaia di militari italiani internati in Germania, né dimentica la disperazione di un intero
esercito lasciato allo sbando senza alcuna guida quell’otto settembre. Da questa memoria nasce
una prossimità che ci accomuna negli ideali dell’antifascismo, della pace e della difesa della
repubblica.
L’ALLEANZA DEMOCRATICA
Quando, a gennaio del 2021, abbiamo avanzato la proposta di quella che abbiamo chiamato una
grande alleanza per salvare l’Italia cambiandola, e abbiamo parlato di una nuova fase della lotta
democratica antifascista, cioè i fondamenti del documento congressuale, siamo partiti dall’idea
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che soltanto un’alleanza di tipo nuovo, cioè una straordinaria rete informale di associazioni,
sindacati, personalità, partiti poteva porre le premesse per un profondo rinnovamento del Paese.
Volevamo in questo modo avviare diversi processi: da un lato spingere il sistema politico,
attraverso una forte pressione sociale, a muoversi sulla strada del rinnovamento democratico;
dall’altro lato suscitare un movimento di partecipazione il più possibile coinvolgente che
consentisse, ancorché parzialmente, di riempire il grande vuoto fra la società politica e la
società civile. Abbiamo così proposto un altro modo, positivo e propositivo, di fare società,
anche di fare politica, cercando linguaggi nuovi, facendo rete, dando in sostanza un messaggio
di speranza, una possibilità alta nel momento più difficile – la pandemia – della nostra storia
recente. Assieme, quel messaggio conteneva un’idea di riscossa democratica, a cui ho
accennato prima, tanto più urgente quanto più si sentivano suonare le sirene dell’uomo forte. Ed
infine volevamo contrastare lo strisciante sentimento negativo, quella sorta di pessimismo
esistenziale che sembrava penetrare nel profondo della società all’insegna della paura e dei suoi
mostri. Ci pare che la nostra proposta in qualche modo si sia effettivamente avviata nelle forme
più diverse e dentro reti più diverse, in tante città del nostro Paese.
Il primo frutto di questo impegno è stata proprio la creazione del Forum delle associazioni
antifasciste e della Resistenza. Abbiamo così ricostruito una famiglia che si era in parte divisa ai
tempi della guerra fredda. Naturalmente il Forum non annulla le differenti storie e l’identità di
ciascuna associazione. Eppure è un importante punto di arrivo: non abitiamo nello stesso
appartamento, ma abitiamo in diversi appartamenti nello stesso stabile. Vi potranno essere, su
vicende più o meno importanti, opinioni divergenti su cui misurarsi nel rispetto reciproco.
Oggi da questo Congresso, non nonostante, ma proprio a causa della guerra, rilanciamo in
modo alto e forte quell’idea di rete e quell’appello unitario.
Più in generale questa è la cifra che dobbiamo conservare in ogni circostanza che veda
divergenze nell’ampio fronte di forze antifasciste. Dobbiamo sempre mantenere la rigorosa
coerenza delle nostre posizioni unendola al rispetto e all’attenzione delle posizioni altrui.
Ad oggi si è creato un rapporto particolarmente solido con Libera, Arci, Acli, Cgil, Cisl, Uil,
pur con qualche distinguo peraltro assolutamente legittimo. Pensiamo che il cardine di questa
unità sia nella linea di piena attuazione della Costituzione e della difesa della legalità
democratica e pensiamo che questa linea sia feconda di risultati positivi per il futuro.
Ci troviamo oggettivamente come Anpi e come associazioni, penso anche come sindacati – ne
accennavo prima – in un vuoto di rappresentanza, in uno spazio libero fra partiti e società.
Questo non vuol dire che i sindacati, le associazioni, l’Anpi svolgano una funzione partitica.
Non è nella nostra missione, né nella nostra natura né ne avremmo le forze e neppure la
struttura. Né sono le associazioni che fanno le leggi. C’è un limite invalicato ed invalicabile
nella funzione dell’ANPI che non era, non è e non sarà mai un partito. Tuttavia ai partiti l’ANPI
può e deve fare da stimolo, perché siamo consapevoli di svolgere una importante funzione
politica in senso etimologico e cioè attinente alla città e allo Stato, e forse più precisamente una
funzione civile che ci sembra in questo particolare momento storico indispensabile.
Per quello che ci riguarda noi siamo conseguenti a ciò che da anni sosteniamo in merito alla
memoria attiva, una memoria cioè che non si limita a rammentare il passato ma che si misura,
in base a quel passato, con il presente e da questo rapporto parte per guardare il futuro. Per dirla
con parole che ho citato spesso nei congressi, parole peraltro di un grande musicista, Gustav
Mahler, dette da lui ad altro proposito: noi non siamo soltanto i veneratori delle ceneri ma
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siamo i custodi del fuoco, cioè fuor di metafora, siamo quelli il cui impegno è quello di
rinnovare i valori della Resistenza qui ed ora, nelle contraddizioni attuali.
UNA NUOVA NARRAZIONE DELLA RESISTENZA
Da ciò deriva per parte nostra la spinta a una nuova narrazione della Resistenza che non si limiti
all’informazione e all’enfasi su ciò che è avvenuto nei 20 mesi, dall’8 settembre al 25 aprile, ma
che da quella memoria tragga la linfa di un impegno civile teso all’inveramento delle premesse
e delle promesse costituzionali.
Da questo punto di vista credo che sia giusto definire il nostro come l’impegno di una
democrazia militante, che in questa militanza non smarrisce mai la capacità di visione. Si è
parlato in tanti congressi del sogno dei partigiani, un sogno che effettivamente si realizzò
attraverso la sconfitta del nazifascismo, la Costituente e la Repubblica. A ben vedere il sogno è
la visione del futuro. Possiamo definire il sogno partigiano come un insieme di valori
reciprocamente connessi: liberazione, libertà, democrazia, eguaglianza, lavoro, solidarietà,
pace. Conserviamo quei valori in tre parole: Resistenza, Costituzione, Antifascismo. La
Resistenza è la storia di quei valori. La Costituzione è lo scrigno che li conserva.
L’Antifascismo è lo strumento per conseguirli.
Ma, sia chiaro, il sogno partigiano, il nostro sogno non ha nulla di irrazionale, mistico,
romanticheggiante. Viceversa si muove su basi logiche, analitiche, critiche. Il sogno, l’orizzonte
di un moderno antifascismo che inveri nel nostro tempo i valori chiave della Resistenza, è
quello di una società che collochi definitivamente la guerra nella preistoria del genere umano,
una società di liberi e liberati, una società di diversi ma eguali, una società dove il lavoro sia il
mezzo attraverso il quale l’umanità realizzi se stessa perché è l’unica specie vivente in grado di
creare, il lavoro come creazione dunque e non come sfruttamento, una società governata da un
sistema di democrazia, dove i rappresentanti rappresentino davvero i rappresentati e dove i
rappresentati partecipino alle scelte dei rappresentanti, una umanità unita per la sopravvivenza
del genere umano davanti ai quattro cavalieri dell’apocalisse del tempo che attraversiamo: la
pandemia, il riscaldamento globale, la crisi economica, la guerra.
Noi abbiamo più volte chiamato questo orizzonte antifascista, questa visione, questa prospettiva
disegnata in tre parole centrali del documento congressuale – persona, lavoro, socialità – in
questo modo: un nuovo umanesimo.
Con questo congresso si avvia un quinquennio speciale, che segnerà il definitivo passaggio del
testimone dagli ultimi partigiani alle generazioni successive, non solo alla mia generazione,
quella dei settantenni, per intenderci, che ha vissuto l’intensità della giovinezza fra la seconda
metà degli anni 60 e tutti gli anni 70, fra i Beatles e la Premiata Forneria Marconi, ma anche a
quelle venute dopo, dagli anni Ottanta fino alle ultime, le ragazze e i ragazzi nati nel nuovo
millennio, i nativi del web e dei social. Penso a loro, al trauma di vivere il tempo migliore della
vita e dell’amore, cioè della più prorompente socialità, nella condizione di un anno senza
socialità, incarnato nelle parole distanziamento sociale. Penso ai ragazzi che si affacciano al
mondo quando oggi sui media la parola dominante è guerra, cioè la negazione di tutto, a
cominciare dalla vita. E mi chiedo come possiamo trasmettere a questi ragazzi il messaggio dei
ragazzi del 43, i ragazzi della radio, che facevano la guerra alla guerra, che rischiavano la pelle
per contrastare l’autoritarismo sanguinario dei nazifascisti, che combattevano a diciott’anni per
conquistarsi il diritto ad uno spicchio di felicità. Ecco, me lo diceva tanti anni fa Luciano
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Guerzoni. Dobbiamo impegnarci per il diritto alla gioia e alla felicità delle ragazze e dei
ragazzi. Non parlo di una felicità effimera, ma di quella che si prova quando trovi il senso delle
cose che fai, quando abbracci e sei abbracciato da un sistema di valori, quando senti la
solidarietà come il bene comune che ti fa umano, la libertà come l’energia che rompe ogni
gabbia, l’eguaglianza come la radice di ogni dignità. Ed aggiungo il valore della bellezza come
luce, come risorsa per un mondo nuovo. Lo scriveva Anna Frank: “Non penso a tutta la miseria,
ma alla bellezza che rimane ancora”.
Ecco la missione in cui impegnarci nei cinque anni che ci aspettano: formare un’associazione
dove le categorie che usiamo, come il sociale e il politico, non siano un gergo ma una promessa,
non siano un recinto, ma una finestra spalancata sulla quotidianità della nostra esistenza e sugli
ideali che ci fanno persone.
BILANCI E PROPOSTE
LA CAMPAGNA CONGRESSUALE
Abbiamo svolto 100 Congressi provinciali e 5 assemblee congressuali in Italia, 6 congressi e 5
assemblee per i nostri compagni all’estero. Dico con soddisfazione che più del 40% dei delegati
è di genere femminile e che sui nostri cento presidenti provinciali 30 sono nuovi. Dunque, bene
sul rinnovamento.
I Congressi hanno registrato in media una larga partecipazione. La presenza di rappresentanti di
associazioni, sindacati, movimenti e partiti, come invitati, è stata molto più ampia che nel
passato. Tutto ciò è avvenuto in piena coerenza con l’auspicata apertura dei Congressi al
territorio, che corrispondeva al respiro del documento nazionale, che è stato approvato ovunque,
quasi sempre con emendamenti aggiuntivi o esplicativi che hanno significativamente arricchito
il documento stesso, e quasi mai con emendamenti alternativi. Il quadro che emerge è quello di
un’associazione forte, coesa attorno alla proposta avanzata nel documento e motivata
dall’orizzonte che il documento propone in un clima di diffuso orgoglio identitario. In poche
circostanze si sono verificate tensioni, prevalentemente risolte, quasi esclusivamente per ragioni
di attribuzione di responsabilità interne. Colpisce negativamente una sola situazione con
permanenti conflittualità interne e polemiche pubbliche stucchevoli, dannose per l’ANPI. Colgo
l’occasione per ribadire la natura profonda dell’ANPI, che è la casa di tutti gli antifascisti; la
sua forza ha origine nella sua unità e nel suo pluralismo che va sempre valorizzato. Dobbiamo
perciò contrastare ogni tentazione, ove dovesse emergere, di gestione dell’ANPI a maggioranza,
perché ciò porta allo scontro interno ed alla emarginazione della minoranza.
UNA COMPLICATA TRANSIZIONE
A circa sei anni dal 16° Congresso è davvero difficile sintetizzare la straordinaria mole di
lavoro portata avanti dall’ANPI in una situazione interna fra l’altro del tutto inedita. Da quel
Congresso si sono succeduti tre Presidenti: Carlo Smuraglia, Carla Nespolo e il sottoscritto. La
tragedia della pandemia ha rinviato di fatto di un anno l’appuntamento congressuale.
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I REFERENDUM
Questi sei anni sono stati caratterizzati da eventi di grande rilievo: mi riferisco in particolare al
Referendum costituzionale, quella montagna che riuscimmo davvero a scalare. E poi il
Referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari, sul quale ci siamo impegnati, sapendo
perfettamente che si trattava di una battaglia di testimonianza ancorché sacrosanta.
LO STORICO INCONTRO COL CARDINALE ZUPPI
Uno dei primi eventi che vorrei ricordare e che per noi ha rappresentato uno straordinario
valore, oltre ad essere un fatto unico nella storia dell’ANPI, è l’incontro dibattito online che ho
avuto con l’arcivescovo di Bologna, Cardinale Matteo Maria Zuppi, sul tema della Costituzione
e attorno alle tre parole chiave di questo stesso congresso: persona, lavoro, socialità. Il
Cardinale Zuppi ci onora anche oggi della sua presenza; lo ringrazio a nome dell’intero
congresso, e colgo l’occasione per ribadire la nostra profonda vicinanza ideale a tanti contenuti
delle ultime due encicliche Laudato sì del 2015 e Fratelli tutti del 2020, col convegno di Assisi
“L’economia di Francesco” del settembre 2020.
Per associazione di idee rammento la nostra costante presenza alla Perugia-Assisi, come un
appuntamento annuale di pace, che quest’anno assumerà ovviamente un significato ed
un’importanza speciale.
IL LAVORO INTERNAZIONALE DELL’ANPI
Il nostro impegno internazionale si manifesta in due direzioni: il lavoro propriamente dell’ANPI
e il lavoro dei nostri compagni nella FIR, la Federazione Internazionale dei Resistenti. Col
convegno europeo che l’Anpi promosse nel dicembre 2018 a Roma si strinsero rapporti con
varie associazioni partigiane per così dire sorelle. Quel lavoro è cresciuto nel corso degli anni in
particolare verso la ZZB NOB che associa i partigiani sloveni, la SABA che associa i partigiani
croati. In questi anni abbiamo costruito un rapporto molto stretto e costruttivo con gli sloveni,
qui rappresentati dal Presidente nazionale Marjan Krizman, la cui amicizia mi onora e che
ringrazio per la presenza. Abbiamo svolto diverse iniziative comuni e ne abbiamo ancora tante
in programma. Recentemente abbiamo stretto rapporti più costanti con la SABA, con cui
tracceremo un programma comune nei prossimi mesi e di cui ringrazio il Presidente, nostro
graditissimo ospite, Franjo Habulin. A dicembre mi sono incontrato a Parigi col segretario
nazionale dell’ANACR riscontrando una visione sostanzialmente comune della situazione
europea e mondiale. Abbiamo da qualche tempo affidato la responsabilità degli esteri al
compagno Fabrizio De Sanctis, che la sta onorando con efficacia.
LA FIR
Nella FIR la presa di posizione di netta condanna dell’invasione della Federazione russa ha
determinato una profonda incomprensione con l’associazione degli ex combattenti russi. Questa
difficoltà si colloca in una federazione già di per sé molto gracile per varie ragioni di carattere
storico. Salutiamo con simpatia il presidente della FIR Vilmos Hanti. I nostri compagni
impegnati nella FIR, il vicepresidente Filippo Giuffrida e i membri dell’esecutivo Mari
Franceschini e Sandro Pollio sono impegnati in questi difficile impresa. Noi pensiamo che,
ferme rimanendo le nostre posizioni, vada fatto il possibile per evitare una rottura della FIR con
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la fuoriuscita dei russi, perché la FIR è uno dei pochi strumenti che ci consente ancora di
dialogare fra est e ovest dell’Europa geografica, che inizia sugli Urali e termina a Lisbona.
IL PORTALE “NOI PARTIGIANI”
Sottolineo l’importanza del portale “Noi partigiani”, grazie a Laura Gnocchi e Gad Lerner, che
ci siamo impegnati ad alimentare incessantemente in particolare nelle date topiche della storia
resistenziale, il 25 aprile, il 2 giugno, il 25 luglio, per renderlo una miniera sempre più ricca di
testimonianze e di memoria. Sul portale usciamo da una stagione di iniziative di presentazioni
molto diffusa e ne avvieremo una nuova a partire da questo 25 aprile.
I NOSTRI 25 APRILE
Ricordo poi la sequenza di iniziative e di manifestazioni per il 25 aprile a cominciare dal
drammatico e per alcuni aspetti liberatorio 25 aprile 2020, quando la pandemia aveva già
colpito al cuore l’intera società italiana e quando, nonostante tutto e grazie in particolare
all’impegno di Carla Nespolo, già malatissima, riuscimmo a celebrare il 25 aprile nelle piazze
sia pur a ranghi ridottissimi, e sui balconi, diventati il palcoscenico della festa più bella nel
giorno più bello dell’anno. Facciamo di quest’anno un grande 25 aprile per la pace, la ripresa
del Paese, l’unità democratica!
IL CONTRASTO AL NEOFASCISMO
Abbiamo dato vita ad una straordinaria quantità di iniziative di contrasto al fascismo, in parte
già citate, a cui aggiungo la giornata antifascista del 27 maggio 2017 e il contestuale seminario
dal titolo “Essere antifascisti oggi”. Posso iscrivere in questo capitolo l’avvio, invero
tormentato, del progetto per il museo nazionale della Resistenza a Milano finalmente sbloccato,
anche grazie alle prese di posizione dell’Anpi nazionale e di Milano. Negli stessi anni si è
intrecciata una polemica, ci auguriamo finalmente chiusa, attorno ad un improbabile museo del
fascismo a Predappio, proposta da noi fortemente contrastata.
IL COORDINAMENTE NAZIONALE DONNE
Dall’ultimo Congresso ad oggi abbiamo registrato una crescita del numero di donne iscritte. Il
Coordinamento nazionale Donne dal Consiglio nazionale di Acqui Terme nel 2019 si è
articolato in gruppi di lavoro che hanno sviluppato la ricerca e l’approfondimento della storia
delle donne nella Resistenza e hanno contribuito al dibattito congressuale e hanno consentito di
sviluppare un significativo lavoro anche nei territori. Per il XVII Congresso il Coordinamento
nazionale ha predisposto il materiale per uno spazio nella pagina web dell’ANPI e una cartella
didattica con le biografie delle ventuno “Madri Costituenti”. Ricordo, come ho detto in varie
circostanze, che le donne, prima di essere l’altra metà del cielo, sono l’altra metà della terra, una
potentissima, concreta metà della terra, e che la questione di genere, come diceva la nostra
carissima Lidia Menapace, e la più grande questione democratica del mondo. Ribadisco con
determinazione che l’impegno dell’ANPI sulla questione di genere è una priorità fondamentale.
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LE GIOVANI GENERAZIONI
Registriamo un’attenzione nuova nei confronti delle giovani generazioni e specialmente una
forte domanda da parte di tanti giovani nei confronti dell’ANPI. Questa prospettiva è tanto più
importante se si considera il lavoro svolto da larga parte dei territori nei confronti delle scuole,
in particolare grazie al protocollo ANPI-MIUR in base al quale abbiamo recentemente
programmato con il Ministero la realizzazione di 5 video-lezioni sui temi della violenza fascista
in occasione dell’anno, questo, anniversario della “marcia su Roma”.
Propongo perciò che il Congresso, attraverso un dispositivo vincolante predisposto dalla
commissione politica, impegni il nuovo Comitato nazionale a nominare un gruppo di studio e di
lavoro specifico col compito di articolare una coerente linea che ci consenta una più ampia
penetrazione dell’ANPI e degli ideali dell’antifascismo fra le giovani generazioni. L’obiettivo è
una nuova leva di giovani nell’ANPI che assieme agli anziani uniscano il potere al sapere,
perché, come ha scritto Saramago, “La gioventù non sa quel che può, la maturità non può quel
che sa”.
LA RICERCA STORIA, LA CULTURA, LO SPETTACOLO
Dovremo rivolgere un’attenzione particolare ai mondi della ricerca storica, della cultura,
dell’informazione e dello spettacolo con i quali non è mai cessato un rapporto fecondo. Ricordo
a questo proposito due incontri informali che abbiamo avuto con storici e personalità della
cultura e dello spettacolo per presentare loro il documento congressuale. È fondamentale, nella
difficile fase che affronta il Paese, il punto di impegno civile che questi mondi possono
proporre. Aggiungo che vanno recuperate e rinnovate le loro grandi tradizioni antifasciste e va
messa a valore questa risorsa come uno dei fondamenti dell’intelligenza collettiva del nostro
popolo e della bellezza culturale del nostro Paese.
UN PROGRAMMA COMUNE CON L’ISTITUTO PARRI
In un recente incontro con l’Istituto Parri si è deciso di intensificare la programmazione di
iniziative comuni mettendo a fuoco tre proposte che inseriamo nel programma dei nostri
impegni: la ricerca sull’attuale toponomastica fascista in Italia, già avviata dall’Istituto; la
ricerca sulla “guerra alle donne” (violenze, torture, omicidi) da parte del nazifascismo; la
ricerca sulle attuali tendenze alla delegittimazione della storia attraverso una riscrittura faziosa e
intollerante.
Aggiungo che quest’anno, come ricordato, è il centesimo anniversario della marcia su Roma.
Consegniamo al futuro gruppo dirigente le riflessioni partite dai compagni di Forlì sulla
possibilità di dar vita a una iniziativa nazionale dell’ANPI che, anche grazie alla presenza di
ospiti di altri Paesi, ricordi le molteplici occupazioni e colonizzazioni di cui è stato responsabile
il fascismo storico.
LA FORMAZIONE
La formazione deve costituire una colonna portante migliorando e articolando un già efficace
lavoro che si è da tempo avviato in diversi territori. I due grandi filoni formativi affrontati sono
l’antifascismo e la Resistenza a partire dal proprio territorio, la Costituzione e la conoscenza
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delle dinamiche del dopoguerra; e poi i temi dell’attualità con particolare riferimento al
contrasto ai neofascismi e all’approfondimento dei documenti e delle regole di funzionamento
dell’ANPI e della sua comunicazione. E’ in lavorazione un progetto che prevede vari livelli:
corso di base, corso provinciale, corso di alta formazione. Oltre al volume “Essere ANPI”, che
ha accompagnato la campagna congressuale, ricordo il sito “Promemoria” che contiene nuovi
strumenti didattici di lettura.
ANAGRAFE
L’Anagrafe nazionale degli iscritti conta oggi circa 100mila soci inseriti. Questo strumento ci
consente di armonizzare l’invio delle tessere, il pagamento delle stesse e il rapporto fra tessere
consegnate ai provinciali e tessere effettivamente distribuite agli iscritti. Essa è inoltre uno
strumento formidabile per avere una fotografia dell’ANPI nella sua interezza. Necessita però di
una manutenzione e di un continuo aggiornamento che richiede un impegno specifico delle
sezioni e dei comitati provinciali. Grazie ai verbali dei congressi stiamo completando anche
l’anagrafe delle sezioni.
IL SERVIZIO CIVILE
Fin dal 2016 abbiamo assunto piena consapevolezza che la ricchezza del patrimonio della
nostra Associazione, costituito in gran parte da incartamenti, documenti storici, libri e memorie,
doveva essere reso fruibile da parte di chiunque ne avesse interesse. Abbiamo perciò pensato,
grazie in particolare all’impegno di Luciano Guerzoni, all’impiego dei giovani del Servizio
Civile Nazionale, come percorso di educazione alla cittadinanza attiva e alla pace. Il loro
impegno verte su inventariare, catalogare e dematerializzazione, ma anche costruire relazioni
con le scuole, partecipare all’ideazione di progetti sui temi della Costituzione, dell’antifascismo
e dell’antirazzismo.
PATRIA INDIPENDENTE
Il 16 settembre del 2015 Patria indipendente ha fatto il grande salto dalla carta all’etere per una
più ampia diffusione della nostra voce e un adeguamento alla tecnologia e alle sensibilità del
nostro tempo. Negli anni successivi Patria online ha acquisito prestigio e autorevolezza, ha
progressivamente aumentato il numero di visitatori, è diventato un utile strumento di
formazione e di informazione per le nostre compagne e i nostri compagni. All’atto della mia
elezione alla Presidenza è stata nominata direttore Natalia Marino che, con la collaborazione
della segretaria di Redazione Letizia Dabramo e di una redazione motivata e vivacissima, ha
ulteriormente migliorato la qualità del periodico che è sempre più diventato un punto di
riferimento per il mondo degli antifascisti anche grazie al contributo di tanti compagni dei
territori e di tante personalità della cultura. A conferma di questa tendenza, è stato recentemente
raggiunto un traguardo elevatissimo di visualizzazioni.
SITO WEB, SOCIAL, UFFICIO STAMPA E I LIBRI DI BULOW
Il sito www.anpi.it è stato in questi anni una vetrina delle attività dell’associazione con
particolare attenzione alle più importanti iniziative e il punto di riferimento informativo
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quotidiano di tante nostre strutture territoriali. E’ in corso un suo profondo restyling al fine di
renderlo sempre più efficace e fruibile. L’attività di comunicazione dell’ANPI, egregiamente
promossa di Andrea Liparoto, è il pilastro su cui si fonda la conoscenza delle iniziative, dei
dibattiti e delle stesse idee dell’associazione nel nostro Paese, attraverso l’ufficio stampa e
attraverso i social: facebook, che ha superato i 200mila like, twitter, instagram. L’esposizione
pubblica dell’ANPI, con picchi straordinari durante la campagna referendaria del 2016, ha
mantenuto altissimi livelli in particolare negli ultimi mesi intensificando una rete di rapporti
anche con personalità del mondo delle arti visive e contribuendo in modo determinante alla
promozione dell’immagine dell’associazione. Segnalo infine la recente nascita di una specifica
linea editoriale, diretta da Giovanni Baldini e denominata “I libri di Bulow” di cui sono già
usciti i primi titoli.
ALTRI IMPORTANTI EVENTI
Accenno soltanto per brevità, fra i tanti, ad altri eventi essenziali avvenuti in questi anni: il
conferimento della Medaglia d’Oro al valor militare per la Resistenza alla città di Roma, il
rilancio della Fondazione Corpo Volontari della Libertà, che ha eletto a Presidente il nostro
Emilio Ricci, la bella manifestazione delle Sardine il 14 dicembre 2019 col comizio di Carla
Nespolo, la campagna delle magliette rosse avviata da Don Ciotti e successivamente la
campagna antirazzista dopo l’omicidio dell’afroamericano George Floyd con la recitazione di
tante attrici e attori in un nostro video, l’impegno avviato ma ancora insufficiente sui temi dei
diritti delle persone LGBT, il docufilm “Bella ciao” prodotto fra gli altri da Ala Bianca,
sostenuto dall’Istituto Ernesto De Martino e patrocinato dall’ANPI nazionale, la grande mole di
seminari e pubblicazioni che abbiamo prodotto in questi anni. Cito solo l’importantissima serie
di convegni conclusasi con una conferenza all’Università di Padova l’11 dicembre sul tema “Ci
fu chi disse No”, sui professori che rifiutarono il giuramento di fedeltà al fascismo.
IL COMITATO NAZIONALE
Mi sembra doveroso il ringraziamento a tutte le compagne e compagni del Comitato nazionale,
della Segreteria e i Vicepresidenti per il lavoro svolto in tutti questi anni e in particolare negli
ultimi faticosissimi tempi.
Ho molto apprezzato l’impegno del Comitato nazionale negli ultimi 6 anni seppure abbiamo
vissuto con grande sofferenza sia il blackout del 2020 per la pandemia, sia l’assenza della nostra
cara Carla Nespolo, costretta in ospedale. In quel drammatico anno il Comitato nazionale non si
è riunito 12 settembre 2019 all’11 settembre 2020. Superata questa fase il Comitato nazionale
ha ripreso a lavorare intensamente: esso si è riunito altre due volte a fine 2020, 5 volte nel 2021
e due volte quest’anno.
Per il futuro Comitato nazionale dobbiamo partire dai criteri di formazione a cominciare dal suo
ringiovanimento. E’ giusta e obbligatoria statutariamente una percentuale di compagne non
inferiore al 40%. Il pilastro dei criteri di formazione del Comitato nazionale è quello della
rappresentanza territoriale, ma occorre anche un criterio di qualità e competenza, per mettere a
valore, per quanto parzialmente, compagne e compagni di grande capacità politica e
intellettuale. Infine, dobbiamo immaginare nel nuovo Comitato nazionale alcune compagne e
compagni del gruppo dirigente nazionale non ascrivibili alla categoria della territorialità.
Ricordo che il Comitato nazionale è l’unico organismo statutariamente decisionale.
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LA PRESIDENZA ONORARIA
E’ fuori discussione la conferma della figura del Presidente emerito nella persona di Carlo
Smuraglia per la sua storia, la sua autorevolezza. Ma aggiungo un secondo argomento: l’art. 7
dello Statuto prevede che il Congresso nazionale elegga la Presidenza onoraria un tempo
formata da personalità del mondo partigiano di altissimo pregio. Questi straordinari personaggi
non esistono quasi più. E nell’ultimo Congresso la Presidenza onoraria non è più stata eletta.
Penso che oggi dobbiamo ripensare a questo organismo e assieme onorare il disposto statutario.
Non ci serve una struttura puramente celebrativa ma è utile invece dar vita a un gruppo di saggi
da riunire alcune volte all’anno per avere conforto e suggerimento sulle più importanti scelte
politiche.
Propongo perciò che la presidenza onoraria raccolga alcune compagne e compagni di valore
impegnati sul territorio o non più impegnati, una sorta di riserva di capacità e intelligenza. Tale
scelta darebbe senso e vigore a un organismo comunque consultivo altrimenti destinato a un
ruolo formale.
IL CONSIGLIO NAZIONALE
Il Congresso deve eleggere statutariamente il Consiglio nazionale, anch’esso consultivo.
Attualmente, il Consiglio nazionale, è formato da 168 membri data la somma dei Presidenti
provinciali, dei Segretari delle province con più di 500 iscritti, del Comitato nazionale, dei
Coordinatori regionali, del Coordinamento donne, dei Revisori dei Conti. Si può confermare lo
schema prevedendo eventualmente un dimagrimento dell’organismo che mi pare francamente
un po’ pletorico, con una sottrazione e un’aggiunta.
Propongo perciò oltre a tutti i presidenti provinciali, un secondo rappresentante provinciale solo
nelle province con più di tremila iscritti e propongo di aggiungere nel Consiglio nazionale i
membri della Commissione nazionale di garanzia.
IL COMITATO SCIENTIFICO
Ancora: da tempo sentiamo l’esigenza di un approfondimento scientifico in particolare di
carattere storico ma anche di altre discipline: penso al costituzionalismo, alla sociologia solo per
fare due esempi. L’idea è di andare ad un gruppo interdisciplinare partendo da una prevalenza
di storici, sia per la centralità della materia, sia perché per ovvie ragioni abbiamo dei rapporti
ampi e consolidati con questo mondo. In sostanza un comitato che potrebbe essere formato da
iscritti competenti o comunque di grande valore intellettuale ma anche da personalità non
iscritte all’ANPI ma a lei vicine.
Propongo perciò di dar vita a un Comitato scientifico formato da compagne e compagni attivi e
dirigenti nell’ANPI, personalità del mondo della cultura, semplici iscritti o simpatizzanti della
nostra Associazione. Anche tale Comitato avrebbe ovviamente una funzione puramente
consultiva.
LA COMMISSIONE DI GARANZIA
La Commissione di garanzia ha svolto in questi anni la sua attività in modo davvero efficace e
colgo l’occasione per ringraziare Piero Cossu e le altre compagne e compagni per il loro
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prezioso e, spesso, faticoso lavoro teso al pieno rispetto delle regole associative, e in ultima
analisi alla tutela del clima di concordia e fraternità che è un elemento costitutivo della natura
della nostra Associazione. Come sapete la Commissione di garanzia non decide ma propone
perché l’esclusività delle decisioni è statutariamente rinviata al Comitato nazionale. Dobbiamo
però segnare un significativo passo avanti in base al principio per cui non devono mai
confondersi i livelli del controllore e del controllato o, più esattamente, del garante e del
garantito.
Propongo perciò di rendere incompatibile il ruolo dei membri della Commissione di garanzia
con la presenza nel Comitato nazionale e nei Comitati provinciali, cioè tutti gli organismi che
hanno potere decisionale.
IL TESSERAMENTO
Parlo volutamente per ultimo del tesseramento, ritenendolo la colonna vertebrale dell’intera
nostra associazione. Le giornate del tesseramento sono diventate un virtuoso costume annuale,
interrotto solo nel 2021 per il virus, e quest’anno differito, come giornate nazionali, attorno al 2
giugno per la contestualità della campagna congressuale.
Questo mi consente di fare il punto su un tema per noi vitale, qual è il tesseramento. Vorrei dire
che è vitale dal punto di vista economico, non avendo noi altri finanziamenti, in sostanza, oltre
a questo e al 5 per mille, da implementare con nuove sottoscrizioni anche grazie al grande
prestigio che l’ANPI ha nel Paese e dal punto di vista ovviamente fondamentale della nostra
forza organizzata che è un contributo concreto alla promozione di quel reticolo democratico
essenziale per reggere l’insieme della vita della repubblica.
Ed ecco i dati del tesseramento arrotondati per difetto: nel 2017 eravamo 113.000, nel 2018
118.000, nel 2019 129.000, quindi un trend di crescita. Nel 2020 124.000, con una diminuzione
tutta spiegabile con la pandemia ed il lock down. Ebbene nel 2021, care compagne e cari
compagni, siamo circa 135.000. Un bel passo avanti che ci conferma come un punto di
riferimento della società italiana e assieme ci carica di ulteriori responsabilità. Non solo: sono
dati in radicale controtendenza rispetto al trend dei partiti e, credo, anche di associazioni
importanti. Questo vuol dire che c’è una grande domanda di partecipazione e di impegno civile.
Vorrei sottolineare il lavoro dei nostri comitati provinciali e delle sezioni che ringrazio davvero,
ed assieme il generale riordino di tutta questa materia e l’impulso ad andare avanti che, dal
punto di vista del centro, va a merito dell’organizzatore nazionale, il vicepresidente vicario
Carlo Ghezzi.
Rimane, per ovvie ragioni storiche, un fortissimo differenziale fra il numero di iscritti al centronord e il numero di iscritti al centro-sud. Quest’ultimo, seppur significativamente aumentato
rispetto agli anni passati, è ancora largamente al di sotto delle potenzialità dell’ANPI e richiede
perciò una specifica cura che proponiamo di affrontare nel prossimo futuro attraverso una
Conferenza di organizzazione delle regioni del Mezzogiorno. Una nota dolente: la presenza
dell’Associazione all’estero è limitata a un ristretto numero di Paesi dell’Unione Europea. Sarà
perciò necessario un impegno dedicato che pensiamo, anche in questo caso, di affrontare
attraverso una specifica Conferenza di organizzazione.
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UNA NOTA CONCLUSIVA
Concludo: mi scuso con voi perché, per quanto mai del tutto esauriente, una relazione
congressuale è per forza di cose molto lunga. Consentitemi l’ultima riflessione. Il 30 ottobre
2020, poco dopo la scomparsa di Carla Nespolo, vissuta da tutti come un trauma, sono stato
eletto presidente nazionale in modo imprevisto e improvviso. Se dovessi racchiudere in poche
parole chiave il lavoro svolto da quel giorno direi Unità, Autonomia, Rinnovamento,
Trasparenza, Collegialità organizzata.
Da quel 30 ottobre abbiamo avviato un lavoro di squadra del gruppo dirigente. Aggiungo la
preziosissima attività delle collaboratrici e dei collaboratori nazionali, peraltro presenti al
congresso e al lavoro per reggere questa grande e complicata macchina organizzativa. Ma vorrei
infine dirvi che tutto ciò che abbiamo fatto, tutto ciò che ho fatto, sarebbe stato semplicemente
impossibile senza il lavoro, il sostegno, il consiglio, il contribuito generosissimo del
vicepresidente vicario Carlo Ghezzi, al quale voglio rivolgere pubblicamente un grande e
affettuoso ringraziamento.
Il congresso nazionale è il punto più alto di democrazia organizzata di una associazione. Nel
momento del congresso, cioè qui ed ora, il destino dell’ANPI è nelle vostre mani. So che sono
buone mani e mani buone, e sono certo che da Riccione usciremo ancora più uniti, più forti, più
determinati in un impegno che ci accomuna, accomuna l’ANPI, dal giorno della sua fondazione,
e cioè il 6 giugno 1944, quando ancora si combatteva al nord. Oggi abbiamo davanti tempi duri
e ci proponiamo obiettivi difficili. Ma passeranno i tempi duri, perché dopo la notte più
profonda sorge sempre l’alba, e realizzeremo gli obiettivi difficili perché, come ha scritto
Nelson Mandela, un obiettivo “sembra sempre impossibile finché non viene realizzato”.
Buon lavoro a tutte e tutti noi.
Viva l’ANPI! Viva le partigiane e i partigiani! Viva la Resistenza! Viva la Costituzione! Viva la Repubblica Democratica!

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