LA VETRINA DELLA CITTA’

Incontro con l’Assessore all’urbanistica

Giovedì 5 maggio ore 21.00

Nell’ambito delle serate di dibattito sulla città il gruppo Città e Territorio dell’Unione Culturale invita a un incontro con l’Arch. Paolo Mazzoleni, Assessore al PRG, urbanistica, edilizia privata, progetto dello spazio pubblico, coordinamento grandi progetti e grandi infrastrutture del Comune di Torino.

Nel ciclo di incontri di quest’anno si sono focalizzate alcune tendenze di lungo periodo che hanno caratterizzato Torino, una città in crisi (contrazione demografica, deindustrializzazione, disoccupazione, peso del debito pubblico ecc.), ma anche dotata di risorse da sviluppare (aree abbandonate, costo della vita moderato, eccellenze nella conoscenza e nella produzione). A partire da queste considerazioni l’incontro, aperto alle domande dei presenti, verterà sulla redazione del nuovo PRG annunciata dal Sindaco Lo Russo, sul futuro delle grandi aree dismesse, sui problemi connessi all’ambiente, alla mobilità sostenibile, alle azioni di semplificazione amministrativa, di trasparenza e di coinvolgimento dei cittadini che potranno essere assunte dalla nuova amministrazione anche per tutelare il paesaggio, gli ambiti urbani “minori”, gli spazi pubblici e le architetture di pregio meno note del secondo Novecento.

Introduce e modera Guido Montanari

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Lo spettacolo di Eurovision e gli sgomberi dei baraccati. Un diario da Torino

Dal Sito Monitor

(collage di stefania spinelli)

In primavera Torino ospiterà l’Eurovision, il festival di musica internazionale. Monta l’entusiasmo delle istituzioni, a fine gennaio il sindaco Lo Russo ha affermato che “l’Eurovision Song Contest è una grande vetrina per la città, ma riporta al centro il messaggio dell’Europa. Un’Europa che vogliamo unita”.

Il 17 marzo La Stampa ha elaborato un titolo appariscente in caratteri rossi: “Rinascimento Torino”. Il giornalista menziona EurovisionSalone del LibroGiro d’Italia e annuncia una “primavera torinese”. L’Eurovision sarà ospitato a maggio presso il Palasport olimpico, accanto al parco di piazza d’Armi. Poco oltre il Palasport, nel lato settentrionale di piazza d’Armi, si trova un parcheggio dove da anni si rifugiano baraccati, senza tetto, cittadini privi di casa. A inizio marzo le forze dell’ordine hanno invitato i poveri ad andarsene: la contiguità fra lo spettacolo di Eurovision e l’esistenza di indigenti non è accettabile.

Abbiamo scritto un diario di queste ultime giornate d’inverno. Accanto alle pagine di resoconti abbiamo tenuto un piccolo schema – non esaustivo – con le date di altri sgomberi. Ogni allontanamento, infatti, si lega, come snodo di una rete, ad altri eventi analoghi. Nell’autunno del 2015 il governo urbano (Fassino era sindaco) ha sgomberato la baraccopoli di Lungo Stura Lazio. Nel maggio del 2020, in piena pandemia, il campo d’accoglienza della Croce Rossa in piazza d’Armi è stato chiuso e l’amministrazione (Appendino era in carica) non ha provveduto ad altre soluzioni. È nata una protesta di donne e uomini senza dimora in piazza Palazzo di Città. Nell’agosto del 2020 la stessa amministrazione ha inviato le ruspe per distruggere le baracche di via Germagnano. Alcuni abitanti di via Germagnano si erano rifugiati in un piccolo bosco accanto all’asfalto di via Reiss Romoli: sono stati sgomberati dalla celere nel settembre 2020.

2 marzo. Siamo vicini a piazza d’Armi, lato corso Monte LungoMarco ci accompagna. Il nostro amico abitava in un campo, ora vive in strada a nord della Dora. Siamo entrati nel vasto parcheggio che sorge oltre la bocciofila e la stazione dei carabinieri. «Lo scorso giovedì era pieno questo parcheggio», dice Marco. Era venuto qui a far visita a un suo amico, sono passati sei giorni. «La scorsa settimana – insiste – c’erano almeno quaranta camper in più di quelli che vediamo oggi». Da dove venivano? Chi sono le persone che vivevano qui? «Romeni, italiani, sinti piemontesi; c’erano tanti rom, anche rom dalla Bosnia. Sono stati sgomberati da via Germagnano e sono venuti qui. Erano qui in tanti, sgomberati da posti diversi». Secondo Marco fino a pochi giorni fa c’erano almeno settanta, ottanta famiglie in piazza d’Armi. «Adesso non sono rimasti nemmeno trenta camper, roulotte. Ma era pieno qui! Avevano anche i bambini». Presto inizieranno i lavori per trasformare lo sterrato in un parcheggio attrezzato. «Questo diventerà un parcheggio pieno di macchine. Metteranno anche delle sbarre, dove pagheranno per il posto».

Marco aggiunge che distruggeranno le roulotte e i camper senza documenti: le persone che ci abitavano dovranno andarsene senza niente. Gli abitanti si allontanano perché hanno paura del sequestro del mezzo. Incontriamo una famiglia originaria della Bosnia, l’unica qui ad aver ricevuto una proposta dal Comune: una sistemazione in un angolo di strada, ai limiti della città, là dove un tram muore al capolinea. Marco parla con una signora romena che ha paura: «Ci manderanno via, non sappiamo dove andare, non possiamo muovere le roulotte». È presente una coppia di italiani con due cani legati al recinto del parcheggio, ci abbaiano contro. L’uomo ha appena acceso un falò. Vivono lì da molti anni in un paio di baracche e una grande tenda come cucina. Anche loro verranno mandati via e non sanno dove trovare rifugio. Fra le roulotte e i camper vediamo altre tende.

12 marzo. In piazza d’Armi hanno disposto cartelli di divieto di sosta validi dal 14 marzo al primo aprile. Sono imminenti i lavori per realizzare il nuovo parcheggio? Ancora rimane una decina di mezzi, o poco di più. Abbiamo incontrato tre uomini che smantellavano una roulotte – forse la loro, forse inservibile. La polizia ha intimato di andare via: entro il 25 marzo non deve esserci più nessuno. Non ci hanno detto altro perché uno di loro non si fidava di noi: «Andate via, dai, andate via».

13 marzo. Oggi abbiamo parlato con Marco, ci ha descritto la diaspora delle famiglie sgomberate da via Germagnano. Alcune vivono in camper vicino alla Stura, altre famiglie hanno occupato delle case sempre nelle vicinanze. Una settimana fa persone cacciate da piazza d’Armi hanno «aperto» delle case popolari in un comune dell’area metropolitana. Marco sostiene che la gente va dove può: in periferia, fuori Torino. «È pieno di camper in giro!», dice. «Certo che vanno fuori Torino!».

Ieri è uscito un articolo su La Stampa che titolava: “Campi rom, nuova emergenza”. Secondo l’autore “sale l’allerta” per nuovi insediamenti informali a Beinasco, oltre la periferia meridionale della città. Abbiamo letto un passaggio che recita così: “I controlli delle forze dell’ordine hanno anche riscontrato la presenza di rottami d’auto, una marea di cestini che si usano nei supermercati e mia (sic), plastica e spazzatura varia. Una bomba ecologica in una zona già compromessa dal punto di vista naturalistico. Non è da escludere che questi nuovi insediamenti siano da collegare all’aumento di famiglie rom già segnalate tra Rivalta e Piossasco nelle scorse settimaontagne di ferraglne (sic)”. Difficile criticare un articolo senza lasciarsi distrarre da errori di forma, semplificazioni, sciatterie. L’autore descrive l’inquinamento di cui “i rom” sarebbero responsabili: un tema classico del repertorio. Eppure sempre sono dimenticate le macerie lasciate dalle istituzioni presso Lungo Stura Lazio: i cumuli di resti del campo distrutto dalle ruspe sono abbandonati da sette anni. Ancora, nel campo ora deserto di via Germagnano cittadini di Torino approfittano del vuoto per gettare brani d’amianto, pneumatici, taniche. E attorno le Basse di Stura sono una terra devastata dai rifiuti della produzione industriale.

L’autore dello stesso articolo lancia un allarme: “i nomadi” comprano a prezzi stracciati territori agricoli lungo il torrente Sangone per accamparsi “con camper, roulotte o piccole baracche”. “E così il timore – continua il giornalista – è che la zona diventi sempre più allettante per chi vuole stanziarsi irregolarmente. Il passaggio del resto non è così complicato: basta offrire denaro contante a chi ha ereditato o si vuole liberare di un appezzamento e il gioco è fatto”. Come osano, i baraccati, acquistare dei territori in abbandono? Il redattore sembra scrivere con sollievo: “Solo poche settimane fa il Comune ha evitato, in extremis, la definizione di una simile compravendita grazie alla scoperta di un cavillo tecnico”. Davvero l’istituzione pubblica cerca cavilli per impedire un normale acquisto? E quali sono le ragioni? Viviamo in un’epoca in cui il razzismo e la violenza simbolica sono così profondi da divenire atteggiamenti automatici, inconsci.

14 marzo. Piazza d’Armi, restano i segni della migrazione forzata. Una roulotte è smontata: hanno portato via le parti in metallo. Poco oltre un camper è privo di motore. Abbiamo visto un’auto arrivare e caricare altri rottami. Laggiù qualcuno ha acceso un fuoco, ci sono ancora piccoli segni sparsi di vita.

Abbiamo incontrato una signora con foulard in testa e una tanica in mano. È romena ed è in Italia da un anno, ci consiglia di parlare con il compagno. Hanno la roulotte in un angolo protetto da una piccola struttura in cemento. L’uomo si chiama Constantin, è romeno e vive da venticinque anni in Italia. Ha lavorato come infermiere al San Giovanni Bosco. Dentro la roulotte ci sono tendine viola con i girasoli, un tappeto, una fiamma per scaldarsi nutrita con alcol denaturato. Nei giorni scorsi, racconta, sono arrivati i vigili e i poliziotti in borghese a dire che se ne devono andare, non importa dove, via di lì, non hanno il diritto di stare lì e il Comune non è tenuto a dare soluzioni. I due non sanno dove spostarsi, intorno i baraccati senza documenti sono partiti. «Ci sono ancora tzigani – dice Constantin –, tzigani bosniaci che sono sporchi e ladri, ma io tengo tutto pulito, ho lavorato in Italia e questo è il trattamento».

Sostiene Constantin che la Romania sta accogliendo ventimila profughi ucraini e l’Italia infierisce su di lui e sulla compagna, cittadini europei. «Vengo da un paese al confine con l’Ucraina, in Bucovina». Ci mostra i documenti che testimoniano l’acquisto della roulotte e ancora insiste di non essere «tzigano». Constantin esibisce le tensioni di un conflitto fra poveri, eppure mostra anche come le difficoltà abitative e la violenza degli sgomberi riguardano uomini e donne senza distinzioni di identità, nazione, provenienza. Si commuove al pensiero delle sue difficoltà: «Vivo qui da cinque anni e adesso dove vado?». Un grande evento, accolto con le fanfare, incide sull’abitazione e sulle abitudini di decine di persone – che impressione a pensarlo, mentre le nuvole del pomeriggio s’addensano.

15 marzo. Oggi abbiamo finalmente ottenuto la documentazione ufficiale relativa allo sgombero della baraccopoli di via Germagnano, era l’estate del 2020. “Progetto speciale campi nomadi” era il nome della procedura. Nell’agosto del 2020 la Compagnia di San Paolo, ente filantropico, ha messo a disposizione cento-trentamila euro per “un piano di facilitazione dei percorsi di fuoriuscita dall’insediamento spontaneo e di abbandono volontario dei rifugi di fortuna”. La polizia municipale e altri burocrati hanno intimato di lasciare il campo. Hanno offerto mille euro per nucleo famigliare in cambio di una dichiarazione firmata che assicurava l’uscita volontaria dal campo. Il documento ritrovato c’informa che i finanziamenti di Compagnia di San Paolo erano gestiti dalla Cooperativa Liberitutti. La stessa cooperativa controlla la Casa del quartiere e un progetto di abitazioni solidali in Barriera di Milano.

La Casa del quartiere in Barriera di Milano si presenta come spazio inclusivo, aperto ai più deboli, un luogo di scambio e di formazione. Spesso accade, in questa città, che la retorica benevolente delle cooperative s’accompagna alla gestione degli sgomberi dei disperati. Le contraddizioni, d’altra parte, coinvolgono le classi dirigenti al governo. Jacopo Rosatelli è stato eletto con Sinistra Ecologista ed è il nuovo assessore alle politiche sociali, con delega a “Stranieri e nomadi” (questa è la lingua del potere che amministra). Nel gennaio di quest’anno Rosatelli ha affermato, in merito alle politiche cittadine rivolte a chi non ha una casa, che “non c’è nessuna persona, anche se in condizione di estrema marginalità, che non si debba sentire cittadino della nostra città”.

16 marzo. Estremo nord di Torino. Questa mattina una quindicina di agenti e funzionari hanno visitato gli abitanti d’un piccolo campo fra via Reiss Romoli e la sponda destra della Stura. Da via Reiss Romoli si diparte una strada che si protende verso il fiume, fra auto rottamate, una fabbrica di materiali sintetici per rivestire gli interni, la filiale di una azienda di vigilanza privata. Ecco in fondo c’è una cascina diruta, un tempo segheria collegata a un canale che forniva energia motrice. La cascina ha due ali che formano un angolo ottuso, sui lati liberi gli abitanti hanno costruito delle baracche. Nasce così un insediamento con un’area al centro: la corte torna a essere uno spazio pubblico dove gli abitanti s’incontrano, parlano, s’aiutano. Vivono qui una ventina di famiglie di origine romena, sgomberate nel settembre 2020 dal vicino campo informale di via Reiss Romoli. Le persone abitano nelle ali cadenti della cascina, oppure nelle baracche in legno e plastica attorno. Ci sono auto parcheggiate, al tavolino uomini giocano con tasselli che paiono del domino. Gli ingressi nella cascina sono foderati da tappeti stinti, entriamo in una stanza al primo piano dove sono disposti letti e altri tappeti. Accogliente e calda, perché è riscaldata con la legna. Si bisbiglia nel silenzio ovattato. Dalla finestra si vede la vita del cortile, una donna offre un caffè.

Jean è nostro amico e ci racconta gli eventi della mattina. I funzionari sono arrivati e hanno affermato che gli abitanti devono andarsene. «Non rendete la situazione più difficile», dicono. È un avvertimento: meglio sloggiare con le buone, senza l’intervento della celere. Offrono, a nome del Comune, soluzioni abitative separate: per bambini e madri da una parte; per gli uomini da un’altra. Secondo i funzionari, i baraccati occupano un’area che appartiene all’Italgas. Accanto, verso est, inizia un campo recintato che porta le insegne di Italgas, ma la proprietà si estende fino alla cascina? Dalle planimetrie il territorio risulta di proprietà comunale, abbracciato dal verde del parco delle Basse di SturaJean chiede ai funzionari un mandato. La portavoce afferma di averlo nel telefono, non lo mostra e il gruppo di agenti s’allontana. Sappiamo che la loro tattica è quella di intimorire gli abitanti con una educata voce minacciosa. S’innervosiscono se fra le famiglie ci sono persone consapevoli dei diritti, delle procedure formali e, magari, capaci di interpretare i piani urbanistici.

17 marzo. Sentiamo l’aria umida appoggiarsi sui capelli, sulla pelle. Un cielo di nuvole preme contro di noi in piazza d’Armi. Intorno al perimetro corridori si tengono in forma, hanno vestiti tecnici, calzamaglie aderenti. Nel parco uomini e donne accompagnano i cani al guinzaglio per una passeggiata. Fioriscono le viole, ma davanti al Palasport olimpico gli operai lavorano per innalzare strutture che accoglieranno capannoni da fiera per Eurovision. Poco lontano, nell’area del parcheggio in via di sgombero, altri camper e roulotte sono scomparsi. È una terra di corvi cercatori, di piccioni urbani in branco fra rimasugli di vita. In mezzo al piazzale, seduto su una sedia, un Winnie the Pooh di pezza sembra attendere serafico l’arrivo di furgoni della nettezza, forze dell’ordine e operai. La roulotte di Constantin è ancora nell’angolo: egli ci ha chiesto di aiutarlo, di trovare un posto. Ma dove? Conosciamo una città sorvegliata, sappiamo delle minacce che pesano sugli abitanti a nord, lungo la Stura. Siamo inefficaci. A che porta un articolo capace di svelare sgomberi taciuti e cattiva coscienza del governo urbano? Ma sì, una testimonianza. Oltre la luce omogenea dello spettacolo, fra le ombre buie del dimenticato, ci sembra di accendere fiammiferi. (manuela cencettifrancesco migliaccio)

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