L’ITALIA E’ UNA REPUBBLICA AFFONDATA SUL LAVORO

IL ROVESCIO DEL DIRITTO AL LAVORO

QUI SOTTO TROVATE: IL LAVORO NON NOBILITA PIU’ – STABILMENTE PRECARI: LAVORO PRECARIO – EPPUR SI MUORE: (IN)SICUEREZZA SUL LAVORO – SAPESSE CONTESSA…: LAVORO IN LOTTA

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Il lavoro non nobilita più. Il fenomeno della Great Resignation


Negli Stati Uniti milioni di persone hanno lasciato il proprio lavoro nel 2021. Un processo legato alla contingenza ma che ha radici lontaneMilioni di persone hanno lasciato il loro posto di lavoro negli Stati Uniti nel 2021, dando il via al fenomeno battezzato la “Great Resignation” © Aleutie/iStockPhotoVittorio Di Giuseppe03.03.2022Leggi più tardi

La legge di riforma del ministro Tizianio Treu è del 1997, ma nel mondo del lavoro se ne parlava almeno dal 1995. E forse scrivendo che «il lavoro nobilita l’uomo» si potrebbe forse aggiungere, «perlomeno fino a metà degli anni Novanta».

Dal workaholism alla fatica insostenibile

È probabilmente stato in quel periodo che percorso professionale e percorso umano hanno cominciato a distinguersi. E se oggi si chiede ad un ventenne cosa pensi di questa dinamica, avrà la reazione di quei pesci che non sapevano cosa fosse l’acqua. Alla classe media (arricchita) del tempo, il lavoro aveva dato benessere e un ruolo sociale. Soddisfazioni personali, reti di colleghi che nel dopolavoro erano amici. Aveva permesso di pagare gli studi dei figli e il loro divertimento. Era appagante ed era caratterizzante.

Tanto appagante e caratterizzante che la cultura pop inventò la figura dello yuppie e la psicologia scoprì il problema del workaholism. La classe media (impoverita) del 2022 considera il lavoro come un’esperienza a tempo, nemmeno la più importante della vita. Che non si sa bene quando potrà diventare un ricordo e che genera una fatica a volte insostenibile (anche solo da un punto di vista psicologico). E quindi magari lascia il lavoro per cui si era preparata sin dai tempi dell’università. Che aveva inseguito e coltivato con dedizione. A cui aveva sacrificato anche alcune di quelle occasioni che si dice non tornino due volte.

Il lavoro sempre più duro: cresce il monte-ore e scendono le retribuzioni

La classe lavoratrice del 2022 sperimenta l’apartheid economico di chi ha visto il proprio monte-ore crescere del 7,8% e il proprio livello retributivo scendere del 2,9% a fronte di trent’anni di crescita più o meno generalizzata. E grazie al grosso contributo della contrazione tra il 2019 e il 2020, non per colpa della crisi del 2008.

Il lavoro, i diritti e l’algoritmo di Deliveroo

E sperimenta dinamiche professionali interne intossicate e cristallizzate. O, peggio ancora, delineate da tribalismi e opportunità strumentali. Cose che sui bilanci sociali non ci finiscono, ma che lacerano l’esistenza e la salute delle persone come gli inquinanti.

La risposta più probabile di un esponente della classe media di fine Novecento (le famiglie erano ancora in larga maggioranza a trazione maschile) al fenomeno delle grandi dimissioni, quell’emergenza statistica per cui nel 2021 quasi 24 milioni di statunitensi e 500mila italiani hanno lasciato volontariamente il proprio lavoro, è che sarà stata tutta gente che se lo poteva permettere. Hanno anche trovato, loro che ancora siedono ai piani altissimi della gerarchia lavorativa, un nomignolo buffo e vagamente antipatico per definire il fenomeno: Yoloyou only live once. “Vivi una volta sola”.

Decine di milioni di americani e 500mila italiani si sono licenziati nel 2021

In realtà non è così. E infatti la risposta più probabile di un o una (le donne sono finalmente molto più determinanti nel mondo del lavoro) esponente della classe media attuale sta tutta dentro la semantica della disillusione. E in questo senso sì, la vita è troppo importante per viverla con cinismo.

La disillusione non è rassegnazione. E infatti non è la compassione verso se stessi a portare verso il fenomeno delle dimissioni. Ma la rabbia verso l’immobilità del mondo del lavoro e verso la cultura tossica che ne deriva, profonda trasformatrice della società. Che infatti si sta precarizzando, come già ha fatto il lavoro. Che invece si sta coagulando ai poli, come prima è accaduto alla società.

pala eolica finanza etica Joan Sullivan : Climate Visuals Countdown sito
Operai al lavoro su una pala eolica nel New Mexico, negli Stati Uniti @ Joan Sullivan / Climate Visuals Countdown

Chi ha deciso di licenziarsi lo fa perché l’ingaggio che il lavoro dovrebbe naturalmente portare con sé passa sotto la soglia minima considerata sufficiente. Gli studiosi sostengono infatti che i lavoratori valutino e condividano le loro valutazioni attorno alla sostanza della cultura aziendale. Della capacità di promuovere la diversitàl’equità e l’inclusione, dell’importanza attribuita e percepita riguardo il rispetto dei lavoratori. Dello stress imposto dalla competizione.

Sfiducia crescente nel modo del lavoro: il preludio della “Great Resignation”

Tutte questioni determinanti da ben prima della “Great Resignation”, ma nei confronti delle quali emerge una generica, ma radicale sfiducia nella possibilità di migliorarle. Come se quel motto che appariva volentieri sui balconi adesso suonasse più come un “avrebbe potuto andare tutto bene, e invece è tutto come prima”. Specie per quell’11,8% dei lavoratori, il 15,6% se si guarda solo la fascia giovanile, che né alla fine della prima ondata né dopo quelle successive sono mai apparsi sui post dei social o negli emendamenti del Parlamento con la qualifica di “eroe”.

Perdere lavoratori non è solo questione di obiettivi mancati, o di fatiche da ricondurre ai processi di selezione, di organigrammi da rivedere. Perdere lavoratori dovrebbe far suonare gli allarmi. Se infatti una certa alternanza può risultare addirittura pro-ciclica, favorevole al ricambio generazionale o anche solo al susseguirsi di fasi nella storia di un’impresa, quando le cause sono più o meno tutte animate dalla medesima stanchezza allora il fenomeno diventa politico. A maggior ragione in un mercato del lavoro depresso come quello italiano, che presuppone decine di migliaia di insoddisfazioni tenute in caldo dalle esigenze familiari immediate.

C’è chi sostiene che il fenomeno delle “Grandi Dimissioni” sia una grande resa dei conti. Il ritorno ad una sindacalizzazione dei conflitti. Ma c’è il rischio che, come ogni guerra, anche questa faccia delle vittime. Perché sarà pur vero che i progetti possono essere più longevi delle singole persone, ma sono le singole persone a spingerli verso orizzonti di lungo periodo.LAVORO

STABILMENTE PRECARI

PRECARIO, POVERO, SENZA DIRITTI: E’ QUESTO IL LAVORO SU CUI E’ FONDATA LA NOSTRA REPUBBLICA?

ASCOLTA QUI: WhatsApp-Audio-2022-02-14-at-18.41.27

LE LAVORATRICI, I LAVORATORI PRECARI SI ORGANIZZANO E LOTTANO PER I PROPRI DIRITTI

Danilo Bonucci spiega cos’è e come opera la NIdiL, Nuove Identità di Lavoro, struttura sindacale della Cgil che dal 1998 rappresenta e tutela i lavoratori definiti atipici ma sempre più tipici.

Ascolta qui l’intervento di Danilo Bonucci: nidil-torino

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Lavoro povero in Italia: in 5 milioni sotto i 10 mila euro lordi annui

La Fondazione Di Vittorio traccia un quadro del mercato del lavoro nel nostro Paese: frantumato, precario, sottopagato.

di Valentina Conte

(ansa)

La Fondazione Di Vittorio traccia un quadro del mercato del lavoro nel nostro Paese: frantumato, precario, sottopagato. Il confronto con l’Europa è schiacciante: prima, durante e dopo la pandemia.

Cala la massa salariale e cala il salario medio annuo, ma in Italia tre volte tanto che in Europa. C’era da aspettarselo nel primo anno pandemico, non con questa intensità. La Fondazione Di Vittorio della Cgil mette in fila numeri importanti. Nel 2020 la massa salariale scende in Eurozona del 2,4%, in Italia tracolla del 7,2%. Anche depurando il dato italiano dall’ampio sostegno derivato dalla Cassa integrazione (17,3 miliardi in più sul 2019) l’insieme dei salari scende del 3,9%, molto di più del livello europeo

Un mercato del lavoro frantumato

In Italia ci sono 3 milioni di precari, 2,7 milioni di part-time involontari (di cui una parte anche precari), 2,3 milioni di disoccupati ufficiali (4 milioni se includiamo gli inattivi). “Uno spaccato davvero troppo alto, ingiusto e insostenibile di lavoro povero e discontinuo che riguarda il nostro Paese”, dice Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio . Le prime tre delle otto fasce in cui la Fondazione ha suddiviso le diverse posizioni contrattuali sono tutte caratterizzate da discontinuità lavorativa. Qui ci sono 5 milioni di persone con un salario medio effettivo non superiore a 10 mila euro lordi annui. La prima è sotto i 6 mila e la seconda attorno ai 9 mila per circa 3,3 milioni di persone. Se nessuno potesse scendere sotto i 10 mila euro annui, la media salariale italiana salirebbe di 3.800 euro all’anno.

Salari italiani crollati più che altrove

Il confronto con altri Paesi Ue è spiazzante. Anche senza conteggiare le manovre di sostegno, in Germania l’insieme dei salari si abbassa solo dello 0,7%. La Spagna poi ha impegnato in tutele una cifra vicina alla nostra, circa 15 miliardi. “Vedremo che riequilibrio ci sarà nel 2021”, commenta Fulvio Fammoni. “Resta comunque il dato di un fortissimo aumento della povertà che però non può essere spiegato solo dalla pandemia. Anche nel 2019 l’Italia era l’unico Paese tra i maggiori sei d’Europa che non aveva ancora recuperato il livello salariale precedente alla crisi del 2008”.

I salari nel pre-pandemia erano tra i più bassi d’Europa

Nel 2019 il salario medio italiano era inferiore di 9 mila euro rispetto a quello francese e di oltre 12 mila euro rispetto a quello tedesco, dicono i dati Ocse. Nel 2020 è tornato sotto i 30 mila euro lordi, vicino al livello degli anni 2000. Un salto all’indietro di vent’anni. “Ecco perché lo slogan “torniano al pre-pandemia, al 2019″ non basta né per i salari, né per l’occupazione”, dice ancora Fammoni. “Non aiuta neanche il rapporto tra salario lordo, mediamente più basso degli altri, e salario netto perché in Italia si esercita una delle pressioni fiscali più alte tra i Paesi Ocse”.

L’occupazione recuperata è per l’80% precaria

Anche l’occupazione non riserva ancora buone notizie. “Le tendenze fino ad agosto mostrano solo un parziale recupero di occupazione sull’anno precedente, con luglio e agosto negativi, un fortissimo aumento della precarietà e divari di genere, generazionali e territoriali ampliati. L’80% del recupero di occupazione dipendente tra agosto 2021 e agosto 2020 è a termine”. Tornare al 2019 in termini di tasso di occupazione significa di fatto tornare sotto i 9 punti rispetto alla media dell’Eurozona. “Se il tasso di occupazione è così più basso e la disoccupazione solo di poco più alta al 2,4%, i conti non tornano”, osserva Fammoni.

La disoccupazione ufficiale e quella sostanziale

I conti tornano solo se consideriamo l’enorme numero di inattivi, 9 punti sopra la media dell’Eurozona, allora siamo primi in Europa. “È evidente che dentro l’area dell’inattività si nasconde una quota di disoccupazione che le statistiche ufficiali non riescono a intercettare e che ci porta a ricalcolare in modo più realistico il tasso di disoccupazione italiano”. La Fondazione Di Vittorio lo definisce “indice di disoccupazione sostanziale” pari al 14,5% rispetto al 9,2% ufficiale. Ecco dunque che il quadro cambia.

Sottoinquadramento e precarietà: un mix micidiale

L’Italia ha il 34% degli occupati dipendenti nelle qualifiche professionali più basse contro il 27,8% dell’Eurozona. Nelle due più alte l’Italia ha il 15,5% contro il 25% dell’Eurozona. Un disallineamento che incide sui salari, specchio anche della “qualità del nostro sistema produttivo ed educativo”. Gli ultimi dati Istat sull’istruzione segnalano il 12,7% in meno di laureati e il 16% di diplomati. Tutti gli anni decine di migliaia di giovani laureati emigrano in cerca di un lavoro meglio pagato e più dignitoso. Il sottoinquadramento poi si somma in Italia con una forte precarietà. Dopo 20 anni solo il 45% di un campione di lavoratori monitorati dalla Fondazione della Cgil che hanno iniziato a lavorare dal 1996 avevano più di 16 anni di contributi versati. “Entrambe le crisi di questo secolo, quella del 2008 e l’attuale, hanno sempre comportato la cessazione o il non rinnovo dei contratti all’inizio della crisi e poi assunzioni prevalentemente precarie quando l’economia riparte”, osserva Fammoni. “Il numero ormai consolidato di 3 milioni di lavoratori con contratto a tempo determinato è davvero troppo ampio”.

Part-time involontario

Il part-time italiano è grosso modo nella media europea, sia per il numero di ore che di persone coinvolte. Ma da noi la percentuale di involontarietà è molto più alta che altrove: 66,2% contro il 24,7% dell’Eurozona. “Quello che dovrebbe essere uno strumento di conciliazione rischia di diventare una tipologia di lavoro povero”, dice Fammoni. In molti casi il part-time involontario si lega a doppio mandato a bassi salari e basse qualifiche e ovviamente alla precarietà. La retribuzione part-time in Italia è più bassa della media dell’Eurozona di oltre il 10%

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EPPUR SI MUORE: (IN)SICUEREZZA SUL LAVORO

UNA RUBRICA CHE NON DOVREBBE ESISTERE

Un altro ragazzo è morto durante uno stage

Il ragazzo era iscritto al corso triennale presso il centro di formazione professionale ‘Artigianelli’ di Fermo e, da quanto si è appreso, stava svolgendo un percorso di alternanza scuola-lavoro proprio in termoidraulica. La sindaca del comune del fermano, Moira Canigola, ha parlato di “tragedia indescrivibile” e di “un dramma che distrugge una famiglia”.

“Quello che sta succedendo in Italia è sotto gli occhi di tutti. Questa è la scuola che hanno voluto governi e padroni. Sappiamo cosa fare, nessuno ha più scuse. Il 18 febbraio gli studenti saranno in piazza in tutta Italia contro alternanza, maturità e repressione subita”

dal sito Fan Page

Giuseppe Lenoci, un ragazzo di 16 anni di Monte Urano (Fermo) che stava svolgendo uno stage aziendale, è morto questa mattina in seguito a un incidente stradale avvenuto a Serra De’ Conti, in provincia di Ancona. Il giovane sedeva sul lato passeggero a bordo  di un furgone guidato da un operaio di 37 anni, anch’egli originario del fermano, che si è schiantato contro un albero in località Fornace. Giuseppe studiava in una centro di formazione professionale in regione e stava svolgendo un periodo di stage curriculare nel campo della termo idraulica. Il 37enne alla guida del mezzo è stato sbalzato fuori dalla cabina a seguito dell’impatto: è stato trovato – gravemente ferito ma ancora vivo – dai soccorritori accorsi dopo lo schianto ed è ora ricoverato all’ospedale Torrette di Ancona.

LEGGI QUI:

LAILA COME LUANA, UCCISA DAL PROFITTO. NON CHIAMATELO INCIDENTE

Laila El Harim,

LAILA COME LUANA, UCCISA DAL PROFITTO. NON CHIAMATELO INCIDENTE

di Maurizio Acerbo e Antonello Patta

Pubblicato il 4 feb 2022

Laila El Harim, impiegata presso l’azienda Bombonette di Camposanto in provincia di Modena, come Luana D’Orazio non è morta per un incidente sul lavoro. E’ stata uccisa dalla logica del profitto a tutti i costi, anche quello di una vita umana.
La Procura di Modena non ha dubbi sulle cause dell’orrenda morte dell’operaia 40enne stritolata mentre compiva un’operazione che non andava effettuata manualmente: la fustellatrice a cui era addetta era stata modificata rispetto al manuale d’uso e mancava la necessaria protezione.
Ma non basta! A leggere le contestazioni a carico dell’azienda ci si trova di fronte al tragico riepilogo di gran parte delle cause che nel 2021 sono state responsabili di ben 4 morti al giorno: omissioni nella valutazione del rischio, nei requisiti di sicurezza e per la mancata formazione dell’operaia.
Di fronte a questa carneficina è criminale la tolleranza dei governi neoliberisti che si sono succeduti in questi anni colpevoli di aver emanato leggi che hanno reso i lavoratori e le lavoratrici ricattabili e forzati ad accettare condizioni di lavoro insostenibili e di aver lasciato progressivamente ridurre il personale preposto ai controlli.
Lo sanno bene che ogni anno in Italia il numero dei controlli è così basso e le pene così incerte che le aziende preferiscono rischiare piuttosto che adeguare i sistemi e le norme di sicurezza.
Il governo Draghi non fa meglio; ha deciso un aumento del numero di ispettori del tutto insufficiente rispetto a quanto necessario e dopo mesi non è ancora chiaro che ne è stato.

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Dall’inizio dell’anno sono morti 65 lavoratori: 32 di questi sui luoghi di lavoro.

A cura di Carlo Soricelli curatore dell’Osservatorio Nazionale caduti sul lavoro http://cadutisullavoro.blogspot.it – Aperto il 1° gennaio 2008 da Carlo Soricelli per non dimenticare i sette operai della ThyssenKrupp di Torino morti poche settimane prima. I morti sui luoghi di lavoro sono da 14 anni tutti registrati in apposite tabelle excel con data della morte, provincia e regione della tragedia, identità della vittima, età, professione, nazionalità e cenni sull’infortunio mortale. Dal 1° gennaio 2008 anno di apertura dell’Osservatorio sono morti oltre 20000 lavoratori per infortuni.

25 gennaio Orribile morte in provincia di Arezzo: Francesco Brenda stritolato da una tramoggia, aveva 51 anni. Perde la vita anche un bosciaolo in Provincia di Bolzano

La vittima si chiamava Francesco Brenda. Scena drammatica davanti ai compagni di lavoro. Dalle prime ricostruzioni lo avrebbero visto scivolare all’interno dell’apparecchiatura, che più tecnicamente sarebbe un frantoio per inerti: una caduta che non gli ha lasciato scampo, viste le caratteristiche della macchina. I compagni di lavoro sono accorsi per soccorrerlo e aiutarlo e sono stati i primi a dare l’allarme, dal quale poi è partito a catena l’intervento congiunto di tutte le forze. Ma per il povero operaio non c’era più niente da fare.

Bolzano. Tragico incidente sul lavoro in Alto Adige: un boscaiolo ha perso la vita, i soccorritori non hanno potuto far altro che constatare il decesso.  Non sono ancora chiare le cause dell’incidente, ma il boscaiolo è stato travolto da un tronco durante alcuni lavori forestali.

 Dalla Sicilia con amore: grazie all’Itis E.Torricelli di Sant’Agata Militello della provincia di Messina per l’incontro che avremo sabato 29 gennaio con gli studenti di questo Istituto “Di lavoro si deve vivere non morire”

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è itis-torricelli.jpg

La morte di Lorenzo Parelli ha evidenziato quanto sia importante la Sicurezza sul lavoro, tanti giovani che si affacciano alla vita perdono la vita lavorando: ciò è dovuto molto spesso alla mancanza del rispetto delle normative sulla Sicurezza nei luoghi di lavoro, alla scarsa preparazione di questi ragazzi che entrano nel mondo del lavoro senza sapere i rischi che corrono lavorando: ma non dimentichiamoci anche del precariato, oggi preponderante nelle nuove assunzioni, che riduce al silenzio questi nuovi assunti, che possono essere licenziati con una scusa se contestano un lavoro poco sicuro. poi ci sono le morti in nero che tanto affliggono il sud, ma anche il centro nord. Bene fanno gli studenti, con  i loro professori a mobilitarsi contro queste tragedie che riguardano anche il loro futuro. Ringrazio la Professoressa Gallo per avermi coinvolto in questa importante iniziativa.

Anche Thomas Tavola aveva come Lorenzo Parelli meno di 20 anni: di anni ne aveva 19, è morto tagliando un albero. Troppi i giovani e troppi i vecchi che muoiono lavorando, negli ultimi tre giorni hanno perso la vita 4 sessantenni (in pensione no?) .

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Nella foto Thomas Tavola. 

Al 24 gennaio 2022 sono morti dall’inizio dell’anno 60 lavoratori, 28 di questi sui luoghi di lavoro, gli altri sulle strade e in itinere; 3 in Veneto, due in Lombardia. E’ morto il terzo agricoltore schiacciato dal trattore, dopo il 39enne di Campobasso, un 38enne a Cosenza, negli ultimi 5 giorni hanno perso la vita 9 autotrasportatori, 3 dei quali sull’A1 in Calabria. Muoiono due lavoratori siciliani. E il povero giovane Lorenzo Parelli muore a 18 anni all’ultimo giorno di Scuola-Lavoro. Ma poche ore dopo è morto Thomas Tavola di 19 anni, travolto dall’albero che tagliava. Altri 4 lavoratori hanno perso la vita dopo di lui.

Schiacciato tra un balcone e il cestello: Un operaio di 43 anni è morto in un cantiere di Torino: stava svolgendo lavori su una facciata quando è rimasto schiacciato tra il cestello e un balcone.

a cura di Davide Falcioni

Ancora un drammatico incidente sul lavoro a Torino, dove oggi pomeriggio un operaio di 43 anni ha perso la vita in un cantiere di via Caprera 46, dove ha sede l’istituto Maria Consolatrice, una scuola gestita dalle suore. Stando a quanto accertato l’uomo sarebbe rimasto schiacciato tra un cestello e un balcone durante i lavori di rifacimento della facciata. I sanitari del 118 hanno cercato a lungo di rianimare l’operaio ma è deceduto prima del trasporto in ospedale al Cto. Sul posto vigili del fuoco e i carabinieri che stanno indagando sulla dinamica del nuovo infortunio mortale, il secondo dall’inizio dell’anno nel Torinese. Sono arrivati anche gli ispettori del lavoro dello Spresal, che dovranno accertare se siano state rispettate tutte le norme di sicurezza sui luoghi di lavoro.

……..per tirare il fiato….: https-Era-bello-il-mio-ragazzo

Osservatorio Nazionale di Bologna morti sul lavoro

Aperto il 1° gennaio 2008 da Carlo Soricelli per non dimenticare i sette operai della ThyssenKrupp di Torino morti poche settimane prima. I morti sui luoghi di lavoro sono da 14 anni tutti registrati in apposite tabelle excel con data della morte, provincia e regione della tragedia, identità della vittima, età, professione, nazionalità e cenni sull’infortunio mortale. Dal 1° gennaio 2008 anno di apertura dell’Osservatorio sono morti oltre 20000 lavoratori per infortuni.

Al 6 gennaio 2022 sono morti dall’inizio dell’anno 9 lavoratori, 4 di questi sui luoghi di lavoro; 3 in Veneto, compreso un giovane di 25 anni padre di due figli Report morti sul lavoro nell’intero 2021

Morti sul lavoro nel 2021 al 31 dicembre. Ci sono stati 1404 morti complessivi per infortuni sul lavoro, 695 sono morti sui luoghi di lavoro, gli altri sulle strade e in itinere, che sono considerati a tutti gli effetti morti sul lavoro dalle Istituzioni, con un aumento del 18% sui luoghi di lavoro rispetto all’anno 2020, ma l’anno scorso c’è stato il fermo covid e non ci sono in questi numeri i lavoratori morti per covid. 158 gli agricoltori schiacciati/e dal trattore nel 2021. Occorre aggiungere i morti per infortuni da coronavirus: 90 medici morti per coronavirus nel 2021 (368 totali dall’inizio epidemia) 80 gli infermieri in servizio. Il 70% dei lavoratori morti per infortuni sul lavoro da coronavirus sono donne. l’INAIL considera i propri assicurati morti a causa del coronavirus, come morti per infortuni sul lavoro, noi aggiungiamo anche gli altri che non lavorano nella Sanità.

158 gli agricoltori schiacciati/e dal trattore nel 2021. Occorre aggiungere i morti per infortuni da coronavirus: 90 medici morti per coronavirus nel 2021 (368 totali dall’inizio epidemia) 80 gli infermieri in servizio. Il 70% dei lavoratori morti per infortuni sul lavoro da coronavirus sono donne. l’INAIL considera i propri assicurati morti a causa del coronavirus, come morti per infortuni sul lavoro, noi aggiungiamo anche gli altri che non lavorano nella Sanità.

Rispetto al 2008 anno di apertura dell’Osservatorio l’aumento dei morti sui luoghi di lavoro è del 9%. In questi 14 anni non c’è stato nessun miglioramento, nonostante lo Stato attraverso i suoi Istituti ha speso miliardi di euro per la Sicurezza. INAIL dall’inizio dell’anno al 30 novembre ha ricevuto 1116 denunce per infortuni mortali (mancano i morti di dicembre), ma ricordiamo che molte categorie di lavoratori non sono assicurati a questo Istituto e quindi questi morti non vengono rilevati: poi ci sono i morti in nero.

Le categorie con più morti sul lavoro sono:

L’Agricoltura che ha il 30,22% di tutti i morti sui luoghi di lavoro, di questi ben il 75% sono stati schiacciati dal trattore, 158 complessivi a morire in modo così orrendo, e l’età varia dai 14 agli 88 anni. Il 22% di tutti i morti sui Luoghi di Lavoro di tutte le categorie ha perso la vita schiacciato da questo mezzo.

L’edilizia ha il 15% dei morti sul totale, di queste per la maggioranza sono provocate da cadute dall’alto, sono moltissimi i morti in nero in questa categoria, soprattutto nelle regioni del sud, ma non solo.

Autotrasporto Rappresentano il 10,75 di tutti i morti sui luoghi di lavoro: in questa categoria sono inseriti tutti i lavoratori che guidano un mezzo sulle strade e autostrade (gli autotrasportatori morti sulle autostrade non sono inseriti nei morti delle province), i morti in questa categoria sono aumentati di molto; non sarà un caso che è aumentato in modo esponenziale il trasporto su gomma dovuti agli acquisti on line.

Industria Rappresentano il 5,89% di tutti i morti sui luoghi di lavoro, sono relativamente molto pochi; in questa categoria abbiamo inserito le industrie di tutte le categorie (esclusa edilizia). I morti in questa categoria sono quasi tutti nelle piccole e piccolissime aziende dove non è presente il Sindacato o un responsabile della Sicurezza, Nelle medie e grandi aziende i morti sono quasi inesistenti, quei pochi sono tutti lavoratori che lavorano all’interno dell’azienda stessa ma che non sono dipendenti diretti, ma di aziende appaltatrici: le aziende e i sindacati devono accertarsi che questi lavoratori, che svolgono generalmente lavori pericolosi, svolgono il loro lavoro in sicurezza e siano tutelati come i dipendenti. In alcune grandi aziende emiliane i datori di lavoro hanno fatto accordi col sindacato per tutelare meglio questi lavoratori in appalto.

 Artigiani: una miriade di lavoratori artigiani o di loro dipendenti perdono la vita lavorando, elencare i lavori che svolgevano questi morti per infortuni diventerebbe molto dispersivo per chi legge il report. Ricordiamoci anche di poliziotti, carabinieri e vigili del fuoco che hanno perso la vita lavorando: anche questi lavoratori non sono assicurati all’INAIL.

Età delle vittime: è impressionante vedere che i morti sui Luoghi di Lavoro (escluso itinere) che hanno più di 61 anni sono oltre il 20% di tutti i morti sui luoghi di lavoro; i morti da questa età in su sono soprattutto in agricoltura, in edilizia e tra gli artigiani. Non si può far svolgere lavori pericolosi a lavoratori anziani. Ma ci sono anche molti giovani di vent’anni a morire sul lavoro, soprattutto precari, che hanno perso la vita quest’anno, non solo Luana D’Onofrio ma anche altre decine di giovani che svolgevano lavori pericolosi senza nessuna preparazione, e con il rischio di venir licenziati se avevano da ridire sui lavori pericolosi che dovevano svolgere.

Nazionalità delle vittime: c’è stato un netto calo delle morti tra gli stranieri rispetto agli anni precedenti, probabilmente a causa della pandemia rappresentano il 6,5% di tutti i morti sui luoghi di lavoro. Gli anni precedenti al covid erano sempre intorno al 10%. Sono lavoratori marocchini, albanesi e romeni gli stranieri con più morti.

Non sono contati neppure i morti in itinere e sulle strade: tenete presente che i morti in itinere e sulle strade sono almeno altrettanti rispetto a quelli segnalati qui sotto nelle Regioni e Province. Ma noi preferiamo tenerli separati, perché richiedono altri interventi, che sono diversi da quelli delle morti sui Luoghi di Lavoro.

Morti sui LUOGHI DI LAVORO nelle Regioni e Province nel 2021: i morti sul lavoro sono segnati nella provincia dove è avvenuto l’infortunio mortale e non in quella di residenza, a questi occorre aggiungere almeno altrettanti lavoratori morti sulle strade e in itinere che sono considerati a tutti gli effetti morti per infortuni sul lavoro.

LOMBARDIA 78 Milano (15), Bergamo (15), Brescia (15), Como (3), Cremona (2), Lecco (3), Lodi (1), Mantova (3), Monza Brianza (3), Pavia (9), Sondrio (4), Varese (4)

CAMPANIA 70 Napoli (22), Avellino (12), Benevento (6), Caserta (13), Salerno (17)

TOSCANA 55 Firenze (12), Arezzo (2), Grosseto (4), Livorno (3), Lucca (6), Massa Carrara (3), Pisa‎ (9), Pistoia (10), Siena (3) Prato(3)

EMILIA ROMAGNA 53 Bologna (6), Rimini (4) Ferrara (5) Forlì Cesena (4) Modena (10) Parma (7) Ravenna (5) Reggio Emilia (10) Piacenza (1)

PIEMONTE 53 Torino (17), Alessandria (11), Asti (3), Biella (2), Cuneo (17), Novara (1),Verbano-Cusio-Ossola() Vercelli (1)

VENETO 51 Venezia(7), Belluno(2), Padova‎(14), Rovigo(1), Treviso(12), Verona(6), Vicenza(8) LAZIO 40 Roma (22), Viterbo (2) Frosinone (7) Latina (6) Rieti (3)

CALABRIA 34 Catanzaro (7), Cosenza (16), Crotone (2) Reggio Calabria (5) Vibo Valentia (3) PUGLIA 32 Bari (6), BAT (4), Brindisi (4), Foggia (4), Lecce (7) Taranto (7)

SICILIA 30 Palermo (4), Agrigento (5), Caltanissetta (), Catania (5), Enna (1), Messina (6), Ragusa (8), Siracusa (1), Trapani‎ ()

ABRUZZO 28 L’Aquila (5), Chieti (11), Pescara (1) Teramo (10)

TRENTINO ALTO ADIGE 24 Trento (9) Bolzano (15)

MARCHE 22 Ancona (4), Macerata (4), Fermo (1), Pesaro-Urbino (7), Ascoli Piceno (6) Fermo FRIULI VENEZIA GIULIA 15 Pordenone (2) Trieste (2) Udine (9) Gorizia (2)

SARDEGNA 15 Cagliari (4) Carbonia-Iglesias (), Medio Campidano (1), Nuoro (6), Ogliastra (), Olbia-Tempio (), Oristano (1), Sassari (2).Sulcis iglesiente ()

UMBRIA 9 Perugia (7) Terni (2)

BASILICATA 9 Potenza (6) Matera (3) Molise 6 Campobasso (2) Isernia (4).

LIGURIA 7 Genova (3), Imperia () La Spezia (2), Savona (2) VALLE D’AOSTA (3)

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SAPESSE CONTESSA…: LAVORO IN LOTTA

IL ROVESCIO DEL DIRITTO AL LAVORO

Prima di cominciare, qualche suggerimento da parte di Paolo Pietrangeli: Contessa

Il 2021 in Italia si è chiuso nel segno del lavoro precario

(di Massimo Alberti)

Sul fronte del lavoro il 2021 si chiude come era iniziato: nel segno del lavoro precario. L’aumento di posti di lavoro è dovuto quasi del tutto ai contratti a termine, e il numero degli occupati resta sotto il periodo pre-pandemia. La crescita del Pil non si è tradotta in lavoro, salari, diritti. Potremmo definire il 2021 l’anno dell’ingiustizia sociale. Nel complesso il tasso di disoccupazione è sceso di un decimale, al 9%, e quello degli occupati è stabile, ma si tratta solo di aggiustamenti demografici. Perchè i numeri assoluti raccontano un’altra storia.
A dicembre i contratti indeterminati sono scesi di 7.000, ma i contratti precari sono aumentati di 56.000. Dei 560.000 nuovi posti di lavoro, il 77% sono contratti a termine, in gran maggioranza lavoretti che durano meno di 3 mesi, fino a qualche settimana, se non pochi giorni. Rispetto al periodo pre pandemico mancano 286mila posti di lavoro. Torna sopra il 50% il tasso di occupazione femminile, spinto dal part-time involontario e dai contratti a tempo delle festività natalizie.
Questi dati fanno il paio con quelli di ieri sulle retribuzioni, ferme nel 2021 e divorate dall’inflazione. La crescita del prodotto interno lordo del 2021 non solo dunque non si è riflessa sul lavoro in termini di redistribuzione della ricchezza su salari e diritti, ma nemmeno in occupazione. Ed anche la crescita di lavoro nella fascia 24-35 anni è legata al calo tra gli ultra 50enni. “Sicuramente c’è un effetto di sostituzione di lavoro garantito con lavoro precario”, commenta Fulvio Fammoni della Fondazione Di Vittorio. Le imprese si giustificano citando l’incertezza, ma anche nel 2022 le stime sono di una crescita del Pil comunque oltre il 4%. “di fronte alle previsioni le giustificazioni delle imprese non sono ragionevoli. C’è in atto una tendenza chiara – conclude Fammoni, il governo, aggiunge, deve intervenire sui fondi del PNRR”.

GKN insegna

a cura di Alberto Deambrogio

Vertenza ex GKN: i lavoratori approvano l’accordo quadro raggiunto al MISE

Salvetti, delegato RSU “abbiamo strappato un accordo innovativo in un contesto sociale ostile. Questa fabbrica è per noi patrimonio del territorio, continueremo a vigilare”

[Campi Bisenzio, 22 gennaio 2022] Con la partecipazione del 74% degli aventi diritto al voto, 262 voti favorevoli, 2 contrari e una scheda nulla, passa quasi all’unanimità l’accordo quadro raggiunto al Mise, primo passo sostanziale e di cornice a cui ne seguiranno altri in sede aziendale a cominciare dalla prossima settimana. E’ un accordo sindacale avanzato e molto importante, anche perchè raggiunto in un contesto politico sociale ostile dove i rapporti di forza sono stati per anni (e sono ancora) a svantaggio dei diritti del lavoro.

Secondo Dario Salvetti, delegato RSU ex Gkn: “prima di commentare il risultato, bisogna soffermarsi su un fatto per nulla scontato: qua si è applicata una vera democrazia partecipativa. E lo stesso referendum, in piena pandemia, non era scontato. Qua da mesi una comunità si riunisce in assemblea, si autodetermina, si informa, decide, senza nessuna gerarchia se non la divisione del lavoro creata dalle esigenze stesse di funzionamento della mobilitazione.

Il risultato della lotta e di questa votazione sottolineano che abbiamo strappato un accordo innovativo in una società ancora da innovare: un altro Stato, un altro Governo avrebbero salvato la fabbrica con le sue macchine e le sue produzioni. Questa reindustrializzazione – che invece è lo svuotamento della fabbrica per essere riempita con altri macchinari e altre produzioni – è un processo che abbiamo subito e di cui pagheremo il prezzo con mesi di ammortizzatori e incertezze. Eppure anche in questa situazione abbiamo seguito un’impostazione collettiva e comunitaria. Per quanto riguarda la parte influenzata da noi” conclude Salvetti, “questo accordo trasuda responsabilità collettiva, sa di comunità. Il saldo occupazionale, la continuità di diritti che vengono conservati e tramandati, la commissione di proposta e di verifica: per noi questa fabbrica è un patrimonio del territorio e per questo continueremo a vigilare e a mobilitarci se necessario”.

Una mobilitazione che non accenna a ridimensionarsi, considerato il prossimo Insorgiamo tour in programma per febbraio e il “tenetevi liberi” lanciato per fine marzo.

I punti fermi dell’accordo siglato in sede MISE e approvato dai lavoratori:

1. tempistica certa della reindustrializzazione. Entro marzo proposte vincolanti, piano industriale essenziale ed entro fine agosto closing e passaggio di proprietà

2. clausola anti-logoramento: se entro fine agosto non si palesa la reindustrializzazione, Qf procede direttamente alla reindustrializzazione con intervento di altri investitori o direttamente del capitale pubblico con Invitalia

3. continuità occupazionale e di diritti. Il passaggio da Qf ad altro soggetto industriale avverrà in continuità occupazionale e di diritti contrattuali, anche in caso di cessione di ramo d’azienda.

4. gli appalti del futuro soggetto reindustrializzatore ripartiranno dagli ex dipendenti degli appalti Gkn. Ci sarà per le assunzioni un bacino di reclutamento che riparte da ex somministrati in Gkn. Si apre a un iniziale internalizzazione di numero limitato di lavoratori: la prima richiesta non negoziabile sono sette assunzioni

5. il saldo occupazionale è fissato al momento del passaggio da Gkn a Qf. Questo vuol dire che se continuassero pensionamenti o dimissioni volontarie, il futuro reindustrializzatore dovrà comunque ripartire da 370 posti di lavoro. Quindi, il posto di lavoro non viene considerato un tema individuale ma un patrimonio collettivo del territorio.

6. Diritto di proposta e verifica. Viene formata una commissione di proposta e verifica sulla reindustrializzazione dove la Rsu è presente e può avanzare proposte in merito alla reindustrializzazione, così come richieste di verifica. La commissione deve essere messa a conoscenza dei fondi pubblici utilizzati e i fondi pubblici sono a loro volta vincolati alla realizzazione del saldo occupazionale.

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Francesco Borgomeo, il nuovo proprietario della fu Gkn, è venuto in fabbrica per incontrare l’RSU. Nulla di formale, dopotutto per sostanziare e confermare accordi servono tavoli istituzionali, confronto con il sindacato, partecipazione dei lavoratori. E’ stato un primo incontro per porre le basi di un tavolo MISE che potrebbe vedere la luce prima della fine dell’anno. Ci sono diverse novità, ma prima di queste una consapevolezza: non ci sarebbe stato nessun Francesco Borgomeo senza un’assemblea permanente, un presidio serrato dello stabilimento, i turni, le mobilitazioni di massa, un articolo 28 vinto contro un fondo speculativo.

Borgomeo esiste, e con lui i quasi 400 posti di lavoro, perchè una lotta ha vinto la sua prima battaglia, e questo va rivendicato.

Altri aspetti parlano del mantenimento dell’assemblea permanente per tutto il periodo di transizione, della formalizzazione del lavoro di manutenzione interna della fabbrica (giù manutenuta dai lavoratori in quasi sei mesi di presidio), ma anche della permanenza dello stato di mobilitazione sia del collettivo di fabbrica che del gruppo di supporto.

Il 30 ci sarà assemblea per capire come ristrutturare il gruppo, come renderlo più efficace visto il cambiamento di fase. Alcuni processi interni potrebbero strutturarsi meglio, come il gruppo di ricercatori e solidali che sta lavorando sulle delocalizzazioni produttive, o come la segreteria tecnica e l’ufficio stampa, che potrebbero mettersi a disposizione per l’ampliamento della mobilitazione, se necessario. Tutto è da decidere e discutere

Nel frattempo possiamo dire che Gkn da semplice, e purtroppo ricorrente, vertenza sindacale è diventata qualcosa di più: una comunità politica in evoluzione e un simbolo della lotta per i diritti del lavoro nel nostro Paese.

Oggi c’è stato il primo incontro tra l’RSU del collettivo di fabbrica, la FIOM e Francesco Borgomeo, come nuovo proprietario dello stabilimento di Campi Bisenzio. Dopo il 23 dicembre scorso la proprietà è passata ufficialmente dal fondo Melrose e da Gkn Driveline al nuovo soggetto, la QF, che dovrebbe fungere da traghettatore verso i nuovi potenziali investitori. Durante il tavolo MISE che si è svolto a fine dicembre tutti sono saliti sul carro dei vincitori, a cominciare dal viceministro Todde (peraltro neppure presente al tavolo), presentando la soluzione trovata e l’annullamento dei licenziamenti come una grande vittoria delle istituzioni, locali e nazionali, e come grande atto di responsabilità da parte dell’ex advisor di Gkn. Una vera e propria standing ovation, amplificata da media convenzionali e non: il cavaliere buono sul suo cavallo bianco salva posti di lavoro e un intero stabilimento, destinati a morte certa. Va ribadito però un concetto, che noiosamente vi sottolineo ogni pié sospinto: non ci sarebbe stato nessun salvatore senza una fabbrica occupata, un collettivo in lotta e un territorio insorto. Una prima vittoria c’è stata, certo, ma è tutta accreditabile a chi ha scelto di forzare quei cancelli quel 9 luglio e a chi ha vinto un articolo 28 per condotta antisindacale a fine settembre. Sennò, oggi, saremmo a contare 500 posti di lavoro in meno e un ecomostro in dismissione in più. Per questo il collettivo di fabbrica e il gruppo supporto non smobilitano, tutt’altro, e mantengono l’assemblea permanente a presidio dello stabilimento. Oggi il piano di lotta si è spostato su due livelli, tra loro complementari: il confronto sindacale e la comunicazione. Per quanto riguarda la trattativa, i punti del contendere sono molti: dal numero di persone che verranno assunte per la manutenzione all’integrazione per la cassa integrazione ordinaria, dalle ferie spettanti, alla reinternalizzazione delle lavoratrici in appalto al rispetto di tutta l’accordistica interna. Ma c’è una cornice generale che andrà considerata, altrettanto importante: la firma di un accordo quadro che permetta di tenere dentro tutto questo in una visione coerente, e la necessaria trasparenza su nuovi compratori, piani industriali e reindustrializzazione conseguente. Senza tutto questo, ad oggi, si parla di nulla, e gli scenari che emergono in altri contesti, vedi il disastro Air Italy, suggeriscono cautela e molta attenzione. In tutto questo la comunicazione assume un ruolo fondamentale. La narrazione del salvataggio da parte dell’imprenditore responsabile rischia di mettere in secondo piano tutti i pericoli che si nascondono dietro un traghettamento che è appena iniziato e che potrebbe tirar fuori brutte sorprese in corso d’opera. Per questo, parallelamente al processo sindacale, verrà rafforzata tutta la componente di informazione, comunicazione, propaganda riorganizzando il team in una riunione che faremo nei prossimi giorni, e trovando una strategia comunicativa adeguata alla nuova fase. Oggi, paradossalmente, i rischi sono maggiori di alcuni mesi fa, perchè il tentativo di normalizzazione imposto da istituzioni e dalla nuova proprietà spinge per ridimensionare la lotta, farla apparire come vincente e quindi risolta, perché se un collettivo di fabbrica mobilitato per i propri diritti crea disagio, un’insorgenza che prova a creare convergenze e conflitto è un problema. Del resto questi sei mesi di lotta raccontano una storia che va oltre i confini di Campi Bisenzio e che sottolinea come non ci si possa salvare da soli, e che il fatto che non siano riusciti a sfondare in Gkn non significa che tutto sia risolto. Rimane in piedi la necessità di mobilitare e di mobilitarsi, e soprattutto di cercare convergenze: alcuni giorni fa siamo stati a Marradi, al confine con l’Emilia, a sostenere il presidio delle lavoratrici dell’Ortofrutticola del Mugello a rischio licenziamento per lo spostamento delle loro produzioni nella bergamasca

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